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MATILDE SERAO

Per i bagni

(1883)

 

Matilde Serao nel 1888

 

 

 

*

 

 

 

Infine, quando tu sei partita per Castellamare, la tua, diciam cosí, attrezzeria, era completa. Non hai dimenticato nulla qui, tranne due o tre disgraziati condannati alla città forzata e che sospirano dietro le tue treccie bionde, scomparse per la linea di Napoli-Castellamare. Rassicurati dunque. Tutto parte con te. Abbiamo fatto insieme uno dei nostri allegri inventari: nulla mancava. L’abito di percallo a pallottoline verdi mi fece ricordare l’ingenuo desiderio di Heine, che i suoi canti fossero tanti pisellini freschi, per farne una zuppettina alla sua amante; quello crema a fioretti rossi, col suo perfido e provocante volantino rosso, all’orlo, coi suoi sbuffi di merletto bianco sarà irresistibile nella luce del sole mattinale. Quello di mussolina d’India bianca, lieve, gentile, trasparente, col suo paltoncino di stoffa turca, dove bruciano insieme il rosso, il marrone e l’oro, nel lungo tramonto estivo, potrebbe dar luogo a un quadro: Castellamare, caduta del sole, con effetto…. di bella fanciulla. Hai fatto bene a tagliare la coda al tuo vestito di seta azzurra, sebbene, sia stato un lembo di cielo, tolto via dalle forbici; ma voi ballerete e la coda è insopportabile d’inverno, figurarsi d’estate. Conosco un giovanotto nervoso, che si è deciso a sposare una fanciulla, per averla vista, durante una intiera stagione, in abito corto; egli sostiene che in quell’assenza della coda, è il fondamento della sua felicità coniugale.

L’amazzone di flanella bianca è un’ardita novità, ed il tuo cavallino Gracieux sarà fiero della sua padroncina; ma se, per caso, in una gita improvvisata, si dovesse andare sull’asino, non disprezzare quell’asino, Lulú, perchè sarà l’asino dell’allegria e della improvvisazione. Degli altri abiti, abitucci e semi abiti, non parliamo: sono sepolti nei profondi e misteriosi penetrali delle tue valigie.

Sibbene i cappelloni enormi dove si nasconderà il bel testolino –che ti pare della nuova parola?– e dove gli occhi desiosi s’innoltreranno ad un viaggio di scoperta, molto piú fresco e piú piacevole di quelli africani; i cappellini minuscoli, aerei, che ogni momento vogliono scappare via al volo delle piume che si agitano; i veli rosei, grigi, bianchi, che si gonfiano al venticello marino; le pettinine a testa brillante di acciaio, la pettinessa di tartaruga bionda, i chiodi di argento, gli spilloni a pallottole, le farfalle tremolanti e cangianti: tutto questo mi fa rimanere profondamente pensierosa. Quante cose può portare il capo di una donna, oltre il cervello! È inutile di attirare la tua attenzione sulla gravità di questa riflessione filosofica. Scendendo a idee pedestri, approvo gli scarponcini di cuóio giallo, le scarpe alla contadinesca, le scarpette col monogramma, gli stivallini solidi delle escursioni, con relativi tacchi svelti, tacchi a cui grideremo sempre, con tutte le nostre forze: Excelsior!

Non ho nulla da dire per gli ombrellini, cominciando da quello mostruoso, che pare una tenda, sotto il quale tu ed il tuo cavaliere sembrerete Paolo e Virginia, del bello e noioso idillio di Saint Pierre, passando per quello a fondo Pompadour, per l’altro a fondo giallo, per l’altro a fondo rosso: questo può riguardare Michetti e Dalbono che amano le belle teste sui fondi violenti o dolci. Ed i ventagli, le cravatte, i colletti, le trine, i fiori, le calze di seta, i ricami, le borse, i gingilli, mi hanno lasciata una grande tranquillità nell’anima: sono certa di te, Lulú. Nelle gite sulla montagna, di cui le risate sprizzanti risvegliano l’eco, nelle galoppate a cavallo pei larghi sentieri fiancheggianti d’aranci, nelle lente passeggiate pel mare glauco, nei ballonzoli allo Stabia, nella mattina e nella sera, nella luce bionda del sole, e in quella argentina delle stelle, tu sarai l’adorabile e l’adorata Lulú.

Ma qui, in mezzo alla dolcezza della mia soddisfazione, vi è un punto amarognolo, un sapor d’aloe. Ho un sospetto, Lulú: uno di quei sospetti che girano per i cinque atti delle commedie moderne, affinchè la catastrofe non capiti troppo presto. Ma io lo risolvo subito. Senti qua, mia cingallegra, e non cercare di schermirti, scherzando e ridendo. Ti assicuro Lulú, che il tuo costume da bagno è troppo elegante. Di tela azzurra oscura, è ricamato col filo rosso, le ancore rosse, il nome in rosso, la cinta rossa: il grande cappello di paglia col suo gruppo di papaveri; le scarpettine di tela di paglia, legate coi nastri in croce – troppa eleganza, perchè rimanga inoperosa ed inefficace. Tu hai un progetto, cara: non me lo negare. Tu vuoi discendere nell’acqua, abbandonare il fido camerino, disprezzare la modesta vasca ed uscire al largo per nuotare con quei signori e con quelle signore. Il tuo costume da bagno è troppo grazioso perchè tu non voglia farlo vedere a qualcuno, con la personcina dentro. Nevvero? Tu fai una risatina e crolli il capo, e vedendo cosí bene indovinato il tuo pensiero, rimani sorridente ancora, a carezzare nella mente il tuo gaio disegno. Non sorridere, disgraziata creatura, non distrarti nel tuo sogno: ti aspetta la piú crudele disillusione, la piú orribile realtà.

 

 

Stazione climatica e balneare di Castellammare di Stabia. Cartolina pubblicitaria

 

 

Avrai letto, Lulú, un po’ dappertutto le declamazioni quotidiane con cui l’abito mascolino moderno è dichiarato stupido, inelegante, prosaico, con cui la marsina è detta il capolavoro della ridicolaggine, con cui si aspira —complice Giacosa— agli splendidi costumi medioevali. Fandonie, cara. Se vedi un uomo in costume da bagno nell’acqua, separato dai suoi antipatici indumenti, ti sembra la cosa piú lamentevole, piú compassionale che sia sul globo terraqueo. Anzi tutto ha il naso rosso e ti lascio considerare tutte le funeste conseguenze di una sventura simile. La capigliatura morbida, a linee sobrie, s’imbroglia sulla fronte, a placche bagnate, che lo fanno rassomigliare ad un canonico. Il mustacchio fiero ed arricciato, pende, umiliato, simile ad un pennello intriso nella gomma. Se sa nuotare bene, rassomiglia ad un ranocchio; se nuota male ad un granchio; se non nuota affatto, è pesante…. come un imbecille. In ogni caso ha perduto la sua disinvoltura, la sua scioltezza; si tasta il collo, sentendo che il goletto e la cravatta mancano alla sua felicità. Istintivamente comprende di esser in una posizione molto difficile e non si meraviglierebbe se i pesci lo guardassero con un’aria di muto disprezzo; tutta la sua persona è una protesta, contro l’iniqua teoria che l’uomo è un animale anfibio. In tanta massa d’acqua lo spirito si perde; non sa piú imbroccare un complimento, temendo che un’onda glielo affoghi; se vuol mettere la mano sul cuore trova la maglia bagnata. Pensa: vorresti vedere cosí il conte Franco, dal volto fatalmente pallido, dai grandi occhi languidi, dalle labbra misteriosamente sorridenti? E Gigi Montefranco, cosí esperto guidatore di quadriglie, cosí abile cavalcatore, che in mare ha il difetto di tremare come una donna? E Savelli, l’ufficiale di artiglieria, che ha perduto tutta la sua gaiezza e nuota con un contegno serio, quasi funebre, come se compisse un dovere imprescindibile? E Giorgio Costanzi, il quale ha paura che gli si guasti la scriminatura, che il sole gli abbrunisca la pelle, che i gamberi gli mordano le gambe – e rimane immobile, come una di quelle teste di cera, che hanno i parrucchieri nelle vetrine, con un viso crucciosamente riflessivo? E Galanti, un diavolo, che scompare sott’acqua ogni due minuti, cagionando uno spavento immenso alle signorine? E Antonio Zurlo, che non osa piú farti la corte, come gli altri, perchè teme di vederti ridere, perchè come gli altri è ridicolo, ridicolo? E il mattino seguente, la sera seguente, come avrai il coraggio di conversare, di passeggiare, di ballare con questi signori, che ti ricordi aver visti in quello stato di mortificazione plastica e morale? Tu cosí furba, cosí maliziosa, cosí motteggiatrice?

Poi, in confidenza, che nessuno ci ascolti: anche tu ci perdi, nell’acqua. Il roseo delle guancie si smorza nel pallore, il rosso delle labbra diventa di viola, la bianchezza nivea della carnagione si macchia. Gli uomini, bugiardi pel loro interesse, ti dicono: siete bellissima come sempre. Dopo vanno su e per lo meno, mormorano fra loro: come trasforma il mare; la signorina Lulú non pareva piú quella. Per lo meno mormorano questo: ha grazia, se non è altro. Non già che siano cattivi, ma infine hanno la coscienza della meschina figura che essi ci fanno e si vendicano un pòco. D’altra parte l’esercizio del nuoto è una gran cosa, in questi tempi di ginnastica; ma tu arrischi di perderci quella grazia molle, quella delicatezza di movimenti, quella seduzione di andatura che ti distingue — e ci si perde anche quell’ambiente di segretezza, quell’aura di fierezza, quella intimità orgogliosa, dove nessuno penetra, che infine sono cose seducenti come i tuoi grandi occhi azzurri e i riccioli biondi della bella fronte. Bel piacere sentirsi dire, fra una polka ed una quadriglia, da un giovinotto semisconosciuto: si ricorda quello che le ho detto stamani, nell’acqua? E il mezzo di non arrossire con ciò?….

Ma tu fai il broncio, un broncio cosí gentile che mi verrebbe la voglia di farti andare sempre in collera; tu mi dici che le signorine Dickson ci vanno a nuotare coi signori. Le Dickson sono americane, carina; appartengono a quel curioso paese dove ogni signorina ha intentato per lo meno due o tre processi ai fidanzati infedeli, facendosi pagare 25 mila lire ogni parola mancata. Ci va anche la Sergianni che è italiana? Ebbene, apparterrà anche essa alle trentasette signorine italiane che vogliono emanciparsi. Ci vanno le Galletti? Lo sai bene che sono sui trenta le Galletti e cercano nell’acqua, quello che non hanno trovato sulla terra; non mi meraviglierei che montassero in pallone per trovarlo in aria, il marito. Ci va la signora del banchiere tedesco? Turati bocca che ti darò un biscotto! Viceversa la signora Gorini ci viene per sorvegliare il suo sposo; nè la signora Giovanna può piú temere che il mare la trasformi; cosí potesse trasformarla! O Lulú che non sei americana, emancipata, vecchia zitella, moglie sorvegliata o sorvegliatrice, ma semplicemente una creatura bianca e adorabile, o Lulú che ti fai amare dai tuoi amici, dalle tue amiche, dai fratelli, dai padri, dai cugini, dagli zii, dai nipoti, dagli innamorati delle tue amiche, o Lulú bionda, azzurra e soave, o mia donnina, non andare a nuotare con quei signori e con quelle signore!

 

 

(Da: M. SERAO, Pagina azzurra, 1883. Per un breve inquadramento del passo riportato, cfr., nella sez. Spigolature Stabiane, G. CENTONZE, «Per i bagni» di Matilde Serao)

(Fine)

 

 Ex Tabulis Iosephi Centonze

 

 

 

 

per Stab...Ianus

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