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FRANCESCO DE BOURCARD

Usi e costumi di Napoli e contorni

(1857)

 

 

 

 

*

 

 

 

CASTELLAMMARE

 

                                               Tutti convegnon qui d'ogni paese.

                                                                                          Dante

 

In un'opera come questa, scritta piú per lo straniero che pei napolitani, non deve certamente andar dimenticata una breve narrazione di Castellammare, de' suoi costumi e della vita che ivi si mena nella stagione estiva; nel qual tempo napolitani, provinciali e stranieri si recano in quella città per godere di un aere piú fresco, per bere le acque minerali che colà sorgono e finalmente per la consuetudine o quasi direi manía di correr dietro alla moda; la quale impone che de' mesi dell'anno se ne abbiano a passar quattro solamente in Napoli e otto girandolando per le sue vicinanze e suoi contorni. E però questa legislatrice capricciosa esige che ne' mesi di marzo, aprile e maggio si vada sul Vomero, sull'Arenella o in altri siti elevati vicino a questi; in giugno, luglio, agosto e metà di settembre a Castellammare, Sorrento, o piú lungi ancora, verso la costiera di Amalfi; e in tutto il mese di ottobre a Portici o Resina, donde si ritorna dopo aver mangiato il gallinaccio e la copeta per San Martino.

Qualunque straniero arriva in Napoli, venga per affari o per diletto, non manca mai di fare la sua gita a Castellammare e di là passare a Sorrento, per godere, piú di ogni altro, della deliziosissima via che mena alla patria dello sventurato cantor di Goffredo, e che offre allo sguardo del passaggiero un continuato spettacolo di tante svariate e pittoresche vedute. E se per lo passato tre ore di faticoso viaggio in carrozza, un nembo di polvere e l'ardore del sole non rattenevano lo straniero dal correre fino a Castellammare, non è a dire di quanto ne sia aumentato il concorso, ora che vi si può giungere in meno di un'ora per la piú bella strada a rotaie di ferro, tracciata in mezzo a deliziosi casini, a ubertosi orti e ridenti villaggi, che fuggendo rapidamente l'un dopo l'altro da un lato, si lasciano dall'opposto la grata vista del mare e della pittoresca costa che sempre ti accompagna. Ora dunque che Castellammare si è piú levata in grido presso di noi e dello straniero per l'ameno cammino di ferro, per le fresche aure, per le acque minerali, pe' suoi bagni a mare e pei suoi asini, crederei farle il piú gran torto se non ne accennassi in questa opera, il cui scopo è quello di svelare, con l'aiuto della storia o della tradizione, l'origine di quegli usi e costumi che si rendono affatto caratteristici in questa bella parte della penisola.

E per cominciare dal principio, come suol dirsi, senza qui sciorinarvi un trattato di geografia fisico-politico-statistica di Castellammare, e senza rompermi il capo a discutere con gli archeologi su la origine dell'antica Stabia, accennerò brevemente che sulle rovine di questa città è stata fondata la moderna Castellammare; la quale, per quanto ne dice qualche scrittore moderno, ritiene questo nome da un castello costruito a' tempi di Carlo I d'Angiò prossimo al mare; e Castellammare non à conservata altra eredità dalla sua vecchia madre Stabia che l'antico porto, qualche avanzo dell'anfiteatro nel luogo detto ora Varano e i ruderi di un ginnasio presso l'osteria del lapillo.

Dirò che Castellammare à pure avuto i suoi uomini illustri fra i vescovi e magistrati; e che oggi vi son tutti negozianti e speculatori, la piú brava gente del mondo, che pensano a rendersi illustri col lustro dell'oro che guadagnano e che è il frutto de' loro onesti traffici e delle loro ponderate speculazioni sul cotone, granone, grano, sulla robbia, su le paste e pelli lavorate, e su' tessuti di lana, cotone o filo.

Dirò che è popolata di circa venti mila anime, e queste anime si aumentano di molto ne' mesi di està; che i Castellonici sono gentili, buoni, cordiali, onesti; che ànno un seminario, scuole comunali, un conservatorio per orfane, un ospedale civile e un altro militare.

Dirò pure che Castellammare à un cantiere stabilito da Re Ferdinando I, fin dai primi anni del suo regno, e che dal 1841 in poi è stato ampliato da Ferdinando II, con farvi aggregare il cantiere mercantile ed aggiungendo nell'antico un nuovo scalo per costruzioni di vascelli e fregate, una macchina a vapore per animare i torni e le fucine, un'altra macchina per la pruova delle catene di ferro e molti altri magazzini; per modo che oggi è il primo arsenale del regno, e tale da far invidia a quelli di molte nazioni di Europa. In esso sono stati costruiti la maggior parte de' nostri legni da guerra, e non à guari furono varate quattro fregate a vapore, mentre ora si attende alla costruzione di un vascello.

Dirò... dirò infine che Castellammare è celebre per l'aria, per le acque minerali, per le eccellenti giuncate e ricotte, per le ottime gallette, (1) e per la gran quantità di asini e ciucciari. (2)

Se poi a qualcuno non bastassero le poche notizie che ò date, potrebbe leggere il Viaggio da Napoli a Castellammare del chiaro sig. Giuseppe del Re, ove ne troverà a dovizie. A me resta ancora a dire di molte altre cose sugli usi di questo paese.

Pel villeggiante di Castellammare andar alle acque il mattino è una occupazione, un affare, un obbligo o, direi quasi, un dovere. La sera al caffè vi sentirete dimandare da tutti: «Domani andrete a prendere le acque?» «Non mancate domani alle acque.» «Ci vedremo alle acque.» E, vogliate o non vogliate, abbiate o pur no il desiderio di andarvi, dovrete levarvi dal letto di buonissima ora per non mancare alle acque.

Eccoci dunque alle acque.

Qual varietà, qual movimento in quel recinto che diletta ed affligge, che offre uno spettacolo misto di allegria e di tristezza! Vecchi e giovani, uomini e donne, belle e brutte, ricchi e poveri, nobili e plebei, ammalati e sani, tutti vanno alle acque. Chiunque non è Castellonico deve pagare la sua entrata nello stabilimento, beva o pur no, con due grana.

Oh, quanti acquaiuoli (3) !!... Che brutte figure!!... Che visi pallidi!... Che fisionomie sparute!...

Vedi là quella giovanetta?... Ella è tutta intenta a curare sua madre, la quale, seduta sopra un banco di pietra, debole, pallida e stecchita, tenta riacquistare la sanità bevendo la tonica acqua ferrata del pozzillo.

Guarda quell'uomo dal ventre gonfio che passeggia, con un grosso bicchiere pieno della catartita e dioretica acqua media in una mano, e delle ciambellette nell'altra. Egli spera cosí far scemare l'idropica sua epa-croia; e, diventando snello e mingherlino, rendersi piú gradito agli occhi della sua Dulcinea.

Ma chi è quel giovane biondo da' mustacchi volti all'insú, che tutto si dondola e si pavoneggia presso quel gruppo di fanciulle sedute all'ombra degli alberi? È forse un ammalato?... Oibò!... Egli non manca mai di andare alle acque il mattino, non perché il suo fisico ne senta il bisogno, ma perché là conviene una quantità di belle giovanette, le quali sarebbero desolate di non trovarvelo, per ridere alle costui facezie ai suoi motti arguti o forse alle sue spalle. Egli è uno di quegli odierni lions che corrono dovunque è molta gente, piú per farsi osservare ed ammirare, che per ammirare ed osservare!... E quando da un lato veggo costui, dall'altro scorgo un uomo in su' quarant'anni, gracile, debole, sparuto con un bicchiere colmo di acqua-sulfurea-ferrata atto a guarirgli un erpete che gli à preso il mento; e, bevendo bevendo, guarda con occhio di commiserazione quel giovane bellimbusto, e pare gli dicesse: Giovinotto, venti anni or sono anche io era vispo e gaio come te, ma ora... guarda a che mi à ridotto una sregolata e tempestosa gioventú?...

Oltre alle acque che sono nello stabilimento vi è la stomatica e dioretica acqua acetosella, che è acidetta anzi che no; e la terribile acqua del muraglione, della quale vi sono de' pazzi che ne bevono ne bevono ne bevono, fino a che... Basta!... sul merito di ciascuna di queste acque potrebbesi dire con Dulcamara, che

 

                                                muove i paralitici,

                                        Spedisce gli apopletici,

                                        Gli asmatici, gli asfitici,

                                        Gl'isterici, i diabetici;

                                        Guarisce timpanitidi,

                                        E scrofole e rachitidi,

                                        E fin il mal di fegato

                                        Che in moda diventò.

 

Ma lasciamo stare le acque, ché già parmi di averne bevute tante da sentirmi quasi idropico; e invece inforchiamo gli arcioni di qualche pacifico somaro, per andare sopra Monte Coppola.

È questa la piú bella passeggiata che il mattino far si possa in Castellammare, dappoiché si va sempre all'ombra di fronzuti e spessi alberi, che ti fanno godere di una grata brezza sino alla cima del monte.

Per salirvi bisogna prendere un asinello.

Non sí tosto chiamo un ciucciaro, eccomi assediato, circondato e quasi pestato da ciuchi e da conduttori di asini.

Finalmente mi trovo montato sopra uno di quegli asinelli senza saper come, ed accompagnato da mille ah!... ah!... ah!... per ridestare nella mia bestia quel vigore che piú non è o per mancanza di vitto o per la troppa fatica, lascio di galoppo la piazza del Quartuccio, perseguitato dal mio ciucciaro, per salire sul monte; mentre gli altri asinai si fanno tra loro un grazioso scambio di cortesie non udite mai, per la preda del passaggiero perduta, gridando la croce addosso al fortunato che s'impadroní della mia persona per farmi ballare sulla sua bestia a rischio del mio povero collo.

Ma giunti alla salita del monte l'asinello rilenta il passo, quasi per darti l'agio di osservare le pittoresche bellezze di quella via sí amena: ed allora

                                       

                                        O voi che in bocca il sigaro tenete,

                                        Fumando in ogni tempo e in ogni loco,

                                        Deh!

 

cavatelo fuori dalle vostre saccocce, ed accendetelo; ché in fede mia non vi avrà mai dato tanto gusto, quanto il fumarlo in quel sito, a quell'ora, e procedendo con quel passo tardo ed equabile della piú paziente bestia del mondo.

Intanto, lungo il cammino, vi farò conoscere un poco il ciucciaro.

Il ciucciaro!... Egli è quel giovane che corre sempre dietro il suo somarello, armata la mano da una bacchettina per fargli sentire la forza del suo comando, ed al quale parla col piú laconico linguaggio. Un ah! secco ed un ih! prolungato bastano per avviare o far fermare l'asino; servendosi della bacchettina nel crescendo del trotto o del galoppo.

Il ciucciaro, dall'alba fino a notte, non fa che accompagnare sempre il suo somarello, salendo e scendendo monti, girandolando per Castellammare o per quei paeselli circostanti, covrendosi di polvere, bruciandosi al sole, bagnandosi alla pioggia, a seconda della volontà de' passaggieri; e sta sempre pronto a correre come se allora uscisse di casa, altrimenti verrebbe ingiuriato, maltrattato, e forse forse gli toccherebbe pure qualche bastonata. Ma non è questo mai il motivo che spinge ad alzare il bastone contro di lui, perché, essendo siffatto modo di vivere divenuto una consuetudine, egli corre anche piú del suo ciuccio.

Quando poi si ritira trafelato, pieno do polvere e grondante sudore, trova nella stalla la sua camera da letto, ove la paglia fa le veci di un soffice materasso; e gittato su la stessa, riposa per tre o quattro ore le stanche membra dalle durate fatiche del giorno.

Vi sono pure de' conduttori di somarelli che menano una vita meno penosa e meno faticata; quelli, cioè, che sono pagati a mese da qualche signore, il quale, prendendo in affitto il somaro, vuole ancora la sua guida. Allora bisogna vedere il ciucciaro! tutto vestito bianco, con un fazzoletto di seta nera fermato al collo da un gran nodo, le cui punte svolazzano in balía del vento, ed in capo una paglia piena di nastri di vari colori parimente di seta. Vestito a quel modo egli diventa il fashionable il lion de' ciucciari, desta l'invidia dei suoi compagni e l'amore di tutte le vispe contadinotte del paese e de' contorni.

Il ciucciaro capisce il francese e vi risponde nello stesso idioma, e cinguetta anche un pochino l'inglese. Egli non fa che vantare la velocità dei suoi asinelli, a ciascuno de' quali à imposto un nome, come a dire Barone, Ciccillo, Coviello, Rafaniello, Cocozziello o altro piú bizzarro ancora; ma io ò sempre trovato migliore per il moto quell'asino che è di piú brutta apparenza e che meno viene stimato dal ciucciaro.

Costui, come la formica, lavora nella state e provvede pel verno.

In effetti egli mette da parte per la fredda stagione quel tanto che può nel suo salvadanaio, per non essere obbligato nelle gelide ore mattutine di andare a caricar legna in su le montagne, con la quale fatica vive allora che Castellammare non offre alcun guadagno per sé e pel suo asinello, che il piú delle volte vende nel verno, comprandone altro la prossima stagione estiva, se pur lo stato di sue finanze non gliel vieta affatto. Ma prima di giungere a metter da parte una trentina di ducati quanta fatica non deve egli spendere! quanta polvere non deve ingoiare! quanto sudore spargere!

Il punto di riunione de' ciuchi e de' loro conduttori è la piazza del Quartuccio, donde muovono per riunirsi alla stazione della strada a rotaie di ferro ogni volta che giunge il convoglio da Napoli, e quindi, se non ànno avuto fortuna nel trovar passaggieri, ritornano al loro posto. Di là poi se si addanno di qualche straniero, di lontano cominciano a chiamare, a salutare (4) e ad invitarlo a montare a ciuccio: e, avvicinandosi a lui, tanto lo stringono e lo circondano che a stento egli può liberarsi da quel laberinto asinesco.

Ma eccoci arrivati in cima al Monte Coppola!

Questa collina ritiene siffatto nome da un palazzo de' Conti Coppola, che trovasi a pie' della stessa.

Giunti lassú, che bello spettacolo ti si para innanzi agli occhi!. Quale incantevole panorama!... Napoli, il monte Vesuvio, Torre dell'Annunziata, Pompei si scorgono a mano a mano rimpetto a questa montagna. Alle sue falde poi stanno Castellammare, Qui si sana (5) ed altri luoghi circostanti; e in mezzo al mare vedi l'isoletta o scoglio di Revigliano con la sua piccola torre, che trovasi poco discosto dal lido. Tutti questi paesi chiudono quel mare sí limpido e sí cristallino, in cui riflettendosi il nostro azzurro e sereno cielo compongono il piú bel quadro che la natura abbia potuto creare, e che è dato a noi solamente di possedere in questa piú bella parte dell'Italia.

Mentre dolcemente ivi ti riposi, vedi di lontano avanzarsi dalla parte di Napoli, su due nere linee parallele che si prolungano e si perdono alla vista nell'abitato, una cosa che cammina e che sembra assomigliarsi per la forma quasi ad uno di quei vermi detti millepiedi; ma che poi riconoscerai per il convoglio della strada a rotaie di ferro...

L'ora intanto avanza, ed è mestieri di scendere a Castellammare per prendere un bagno.

Il bagno a mare è un altro dovere imposto dalla villeggiatura di Castellammare, e non se ne può fare a meno. Avrai un bel dire le tue ragioni di non voler fare il bagno, saranno credute scuse, pretesti, e ti terranno conto di uomo da non comprendere che cosa s'intenda il vivere in Castellammare se non ti bagni. Infine, sia per compiacenza o per buona volontà, bisogna tuffarsi nel mare; ove, se avrai la fortuna di capitare qualche amico che gli frulla un po' il capo, ti assicuro che ti farà passar quel tempo con gran diletto, gettando te con la faccia nell'acqua e nella rena o gettandoti arena ed acqua in faccia; senza tener conto di mille e mille altri scherzi di cui potrai esser vittima, se non ti mostrerai saldo e capace di commettere anche a tua volta qualche diavoleria.

Dopo del bagno viene il pranzo, e dalla tavola si passa poi al letto, per abbreviare quelle ore noiose che precedono il tramonto, e durante le quali uno non sa che farsene.

Destatosi bisogna andare verso la bella e ridente strada che mena a Vico Equense ed alla patria dello immortale Torquato, a quella incantevole Sorrento ove tutto ispira poesia, sentimento e voluttà.

Né sono queste le sole gite che offre Castellammare; dappoiché potrai andare a visitare Gragnano che tanto nome à levato di sé pel suo vino e per le molte fabbriche di maccheroni; potrai recarti pure a Lettere per vedere il suo castello o a Scansano, abbondante di allegre e vispe fanciulle, o in altri luoghi e paeselli circostanti non meno dilettevoli degli altri.

Si prendono dunque degli asini, perché in Castellammare i ciucci fanno le veci delle cittadine (6) e de' cavalli da sella, benché di questi pure se ne trovino facilmente; e, se non vuoi andare fuori del paese, passeggiando per la strada della marina che in quell'ora è affollatissima, potrai ammirare da quel luogo le bellezze di un tramonto di sole, che ci parrebbe inverosimile se lo vedessimo dipinto su qualche tela. E pure nulla è piú vero di quei vivaci e sfumati colori che si perdono e si confondono nel vasto orizzonte che ti si para innanzi agli occhi, e di quei mille scherzi di tante vaghe nuvolette che or si formano come una massa di candida neve, or disposte in ordine circolare in guisa di una corona o aureola illuminata da' risplendenti e caldi raggi del cadente astro del giorno; talora riunite insieme e come una lunga striscia dorata che si va a perdere nel fumo del nostro Vesuvio che tien sempre acceso il suo fuoco, e tal altra in mille e mille svariate forme rivestono il nostro bel cielo in quell'ora in cui il sole s'invola a' nostri sguardi.

Ritornando a casa dopo questa gita avrai a mala pena il tempo di spolverarti e pulirti, perché l'ora di andare al caffè è giunta, ed ivi le persone piú distinte dell'alta società non ricusano il loro posto all'aria aperta... Ma a quale caffè si deve andare? mi chiederà chi non è mai stato a Castellammare... Al caffè di Europa, che sta sotto la locanda dell'antica Stabia alla strada della marina, al caffè di bon-ton.

Ivi troverai seduti vecchi, giovani, uomini, donne, il nobile altero ed il ricco speculatore, l'avvocato e l'artista, il soldato ed il prete, che tutti confusamente stanno a chiacchierare ed a discutere, avvolti in una nebbia di fumo de' sigari.

E frattanto che ognuno perde il suo tempo, vengono una dopo l'altra a cantare e sonare là innanzi varie compagnie di girovaghi-pseudi-artisti indigeni, i quali immancabilmente canteranno la melodiosa canzone di Luisella, la patetica Carolina, la sentimentale Stella dell'Arenella con le altre piú gaie canzoni del nostro popolo. Oltre a ciò ogni anno si trova qualche altro sonatore o cantore straordinariamente venuto da Napoli con l'organetto o con altri strumenti, perché sono certi di guadagnar molto in Castellammare.

Né si dà solamente musica... vi è ancora la commedia... la commedia de' burattini con Pulcinella... Infine la sera passa senza avvedertene; ma, ritornato a casa, ti accorgerai come siasi votata la scarsella.

A questo modo, lettor mio, si spende il tempo e 'l danaio in Castellammare; e, dopo due mesi di siffatta vita, sei sicuro che ne partirai bello, sano, florido e grasso il doppio di quello che eri prima di andarvi.

 

 

NOTE

 

(1) Ciambelle, barchiglie.

(2) Conduttori di asini.

(3) Nome dato da' Castellonici a que' che vengono a fare la cura delle acque.

(4) Vedi la figura.

(5) Il palagio di Casasana, ed ora Quisisana, fu fondato da re Carlo II, a memoria di essersi ivi guarito da una malattia; e fu poi ampliato da re Roberto per la stessa ragione.

(6) Nome dato ad alcune piccole vetture da nolo.

 

 

 

 

(Da: F. DE BOURCARD, Usi e costumi di Napoli e contorni descritti e dipinti, vol. I, Napoli, 1857, pp. 113-122. Per l'inquadramento dei passi riportati relativi agli asini ed agli asinai di Castellammare, cfr., tra gli Studi della sez. Letteratura e Territorio, G. CENTONZE, Ciucci e ciucciari nella Castellammare dell'Ottocento)

(Fine)

 

 Ex Tabulis Iosephi Centonze

 

 

 

 

per Stab...Ianus

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