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GIUSEPPE CENTONZE

 

Vittoria Aganoor a Castellammare

 

(2007)

 

 

Vittoria Aganoor

 


 

Vittoria Aganoor, nota a Castellammare per la sua suggestiva poesia intitolata Villa Moliterno (Quisisana) e dedicata «alla Principessa di Tricase», cui apparteneva quella splendida residenza stabiese, fu considerata una delle piú importanti, se non la piú importante poetessa italiana del periodo a cavallo tra Ottocento e Novecento1.

Diamo un brevissimo sguardo alla sua vita e al suo rapporto con Napoli, per meglio capire il personaggio e il suo ambiente familiare e culturale, nonché il momento e l’occasione in cui fu ideata Villa Moliterno.

Nacque nel 1855 a Padova, dal conte Edoardo, di origine armena, e da Giuseppina Pacini, milanese. Ebbe una buona educazione umanistica e artistica, anche se non classica —cosí come le quattro sorelle piú grandi Angelica, Virginia, Maria (Mary) ed Elena— ed ebbe come suoi maestri di composizione metrica i poeti Andrea Maffei e, soprattutto, Giacomo Zanella, al quale rimarrà sempre riconoscente e affezionata.

Nel 1876, per meglio curare una malattia nervosa manifestatasi in Mary, la famiglia si trasferí a Napoli, nel palazzo Caputo al Corso Vittorio Emanuele2. «Se vedesse come Napoli è bella —ella scrisse il 15 aprile 1877 allo Zanella—, se vedesse questo cielo e questo mare per un momento da una finestra della sua Vicenza non tarderebbe un minuto a porsi in viaggio»3.

Vittoria non si trovò inserita soltanto in un incantevole paesaggio, che la spingeva a gioire di fronte alla bellezza e alla forza della natura ed insieme a riflettere e meditare; ebbe anche l’amicizia e la «guida preziosa» di Enrico Nencioni, grazie al quale i suoi orizzonti letterari e culturali si ampliarono enormemente4. Ebbe contatti con molti esponenti della cultura e della letteratura, allargò e approfondí le letture dei poeti e perfezionò l’arte di far versi scrivendo poesie, che inviava in visione agli amici (e ancora al suo «carissimo professore» Zanella), nonché a varie riviste per la pubblicazione. Non le mancarono poi le frequentazioni importanti e le esperienze umane, gli amori e le sofferenze d’amore, le riflessioni sui sogni, sulle illusioni e sullo stesso pensiero che crea infelicità5.

Intorno al 1895 la famiglia tornò in Veneto, a Venezia, nel palazzo in via Ponte dei Greci (il salotto fu frequentato da uomini di cultura e scrittori come Antonio Fogazzaro), e nella residenza estiva di Basalghelle, in provincia di Treviso.

Ma il suo rapporto con Napoli non per questo terminò. Infatti la sorella Angelica, sposata giovanissima a un capitano dei bersaglieri, ma separata nel 1876, aveva acquistato a Cava dei Tirreni un fabbricato con giardino poi trasformato in una bella villa, dove viveva; inoltre a Napoli abitava la sorella Virginia, sposata nel 1892 con Francesco Maria Mirelli (Cesco), duca di Santomenna, magistrato. Pertanto Vittoria faceva continui viaggi per recarsi dalle due sorelle e incontrare gli amici napoletani.

Nel 1899 morí la madre (il padre era morto nel 1891), che lei aveva assistito con dedizione e sacrifici. Cominciò un periodo di tristezza e di sconforto, che cercò di superare curando in sua memoria l’edizione della raccolta di liriche Leggenda Eterna (Milano, Treves, 1900) e con le sue attività culturali, i suoi viaggi e spostamenti, le sue importanti relazioni, la sua fitta corrispondenza. Leggenda Eterna, che cantava il vero e il sogno, il dolore e l’illusione, che non nascondeva le reminiscenze di Leopardi, di Zanella o di Carducci, di Pascoli o D’Annunzio, che anzi fondeva romanticismo e classicismo, decadentismo e simbolismo in maniera nuova e moderna, fece conoscere e considerare ancora di piú Vittoria in campo nazionale, proiettandola tra le migliori voci poetiche del nuovo secolo.

A Napoli, nel frequentato salotto della sorella Virginia a palazzo Mirelli, incontrava la nobiltà (tra i piú assidui v’era la principessa di Moliterno) e gli amici intellettuali partenopei, tra i quali Di Giacomo e Verdinois6.

Frequentava anche il salotto della principessa di Moliterno, Antonia (Antonietta) Melodia7, molto intima dei Mirelli come si è appena visto, nel palazzo Cassano Serra. Qui infatti fu presentata il 28 maggio 1900 la nuova raccolta Leggenda Eterna durante una serata organizzata in suo onore dalla principessa e descritta da Salvatore Di Giacomo con il bell’articolo Salotti napoletani. Vittoria Aganoor a Napoli, uscito su «L’Illustrazione italiana» del primo di luglio. La casa dei Moliterno a Napoli era il salotto dei piú importanti aristocratici e intellettuali napoletani cosí come la villa Moliterno a Quisisana, sulle alture di Castellammare di Stabia, fu il corrispondente salotto estivo, grazie alla principessa ed agli attivissimi animatori della vita estiva stabiese: il marito Giuseppe Gallone (finché non lo colse la morte nel gennaio del 1898) e il figlio Pietro Giovanni Battista (Gino).

 

Antonietta Melodia, Principessa di Tricase e di Moliterno

 

La Villa Moliterno o Villa Antonietta (già Villa Lieven perché appartenuta al principe Alessandro di Lieven, ambasciatore di Russia a Napoli), acquistata nel 1868 dal principe di Moliterno Giuseppe Gallone e dalla consorte Antonietta, ben prestandosi, col suo suggestivo e incantevole scenario, alle eleganti attività estive, aveva ospitato molte personalità illustri; ed anche se, dopo la morte di Giuseppe Gallone, non fu piú vissuta intensamente come prima, soprattutto dalla vedova, continuò tuttavia ad offrire i suoi conforti, il suo incanto e il suo fascino a chi ebbe il privilegio di esservi ospitato.

Immersa nel verde, al limite del fitto e fresco bosco di Quisisana, aveva un proprio bellissimo parco con alti alberi —palme avvinte da glicini, cedri del Libano, araucarie e magnolie—, con aiuole e con verdi prati che a valle affacciavano sull’azzurro della dolce insenatura stabiese del golfo di Napoli, impreziosita davanti alla foce del Sarno dal romantico isolotto fortificato di Rovigliano e dominata, proprio di fronte, dal vicinissimo, scenografico, custode all’apparenza, eppur minaccioso «sterminator Vesevo».

 

       Il parco di Villa Moliterno intorno al 1904

 

In questa deliziosa villa, appunto, insieme con la sorella Virginia e il cognato Cesco, fu ospite nell’estate del 1901 Vittoria Aganoor, che vi ideò e compose (se pure non avendoli ancora del tutto «martellati») i versi che da essa presero il titolo di Villa Moliterno.

La lirica fu ben conosciuta dai Napoletani, che la lessero subito sulla prima pagina del «Corriere di Napoli» del 3 ottobre 1901 e, dopo quasi quattro anni, sulla rivista «Regina» del 30 maggio 1905, dove ne poterono ammirare, riprodotta a tutta pagina, una copia scritta dalla mano stessa dell’autrice, con alcune trascurabili varianti, quasi tutte nella punteggiatura. Fu poi inserita nella raccolta Nuove Liriche (Roma 1908), con l’aggiunta della dedica «alla Principessa di Tricase» e con qualche altra variante ancora relativa alla punteggiatura, e, naturalmente, riportata in identica versione tra le postume Poesie complete curate da L. Grilli (Firenze 1912).

Non erano completamente note, tuttavia, le circostanze e la situazione in cui la poesia era stata composta. Ebbene, il ricchissimo (anche se solo in parte pubblicato) epistolario dell’Aganoor ci viene incontro.

Vittoria amava scrivere agli amici lettere non nate certo per la pubblicazione e pertanto non curate nella forma e spesso affrettate, ma spontanee e rispondenti al suo bisogno di comunicare novità, attività, programmi, pensieri, confessioni, speranze; per lei le lettere, come scrisse a Domenico Gnoli il primo di luglio 1898, «quando non sono composizioni letterarie, tengono il posto della conversazione parlata»8. La sua corrispondenza è pertanto utilissima per conoscere il personaggio e le sue frequentazioni, il suo animo e la sua vita anche quotidiana e, inoltre, situazioni e particolari riguardanti i familiari e gli amici stessi.

In particolare, nel nostro caso, alcune delle lettere a Marina Sprea Baroni Semitecolo, a Almerigo da Schio, a Domenico Gnoli, a Guido Pompilj, a Francesco Cimmino e a Salvatore Di Giacomo consentono o di datare con buoni margini di precisione la poesia Villa Moliterno e di collocarla sentimentalmente, o di conoscere meglio un momento significativo anche se breve della vita di Vittoria e il suo rapporto con Castellammare e Quisisana. Cercheremo di ricavare il piú possibile dal loro esame, pur sapendo che molto probabilmente esistono ancora, in archivi pubblici e familiari, lettere inedite dell’Aganoor che potrebbero contenere ulteriori notizie interessanti sul suo soggiorno a Castellammare o sulla composizione di Villa Moliterno.

Già nel luglio del 1900 la sorella Virginia, che non stava bene in salute, soggiornò per curarsi a Castellammare (verosimilmente a Quisisana, nella villa dell’amica principessa di Moliterno, visto che Antonietta Melodia dopo alcuni giorni andrà anch’essa a Castellammare e le farà compagnia, come si vedrà). Lo sappiamo dalla stessa Vittoria, che, tornata dal caldo di Cava a Venezia, lo annunciava il 29 giugno 1900 all’amico poeta Domenico Gnoli9 (al quale dichiarava, quand’era già iniziata la sua relazione sentimentale con l’orientalista e poeta napoletano Francesco Cimmino, di essere «mutata» nei suoi confronti e tuttavia di non fargli mancare la sua «buona amicizia fraterna»), confessandogli anche la propria incapacità a trarre pienamente gioia e conforto dalla contemplazione della natura:

 

Sí, avete ragione, l’aria di Cava non mi si confà molto; ora tornata qui, mi sento piú serena e forte. Virginia non sta ancora bene del tutto, ma andrà presto a Castellammare per prescrizione medica e spero che quell’aria e quei bagni le gioveranno. Anche a voi l’estate giova; in questo andiamo d’accordo, solo forse non ritraggo dalla contemplazione della natura, piú colorita, piú luminosa e nelle sue varie forme, quell’ebbrezza e quel conforto che voi ne ritraete. Voi siete piú poeta di me e a voi la cupola di San Carlo dà gioie che a me certamente non darebbe o almeno di gran lunga piú tenui. [...] Angelica è rimasta alla Cava; Virginia come vi ho detto andrà a Castellammare e suo marito su e giú. A Varallo io conto andare o alla fine di Luglio o ai primissimi di Agosto. Ho proprio bisogno di doccie10.

 

L’11 luglio 1900, sempre da Venezia, in una lettera volutamente discreta al suo nuovo appassionato amore Francesco Cimmino11nella quale chiedeva una romanza e delle fotografie promesse ed elogiava l’articolo scritto per lei da Salvatore Di Giacomo su «L’Illustrazione italiana» del primo luglio 1900— scriveva con piacere che la Moliterno avrebbe fatto compagnia alla sorella Virginia a Castellammare:

 

Sento che la Moliterno andrà anch’essa a Castellamare, sarà una cara compagnia per mia sorella Virginia e ne godo davvero12.

 

La lettera al Cimmino ci consente una non inopportuna digressione sul particolare momento della vita dell’Aganoor, che poco tempo prima gli aveva detto: «Chiedimi pure tutto quel che vorrai: ti dico: farò sempre quello che tu mi dirai di fare; sarò quella che tu mi dirai di essere»13. Pochi mesi prima aveva scritto già a Gnoli: «Mi farebbe molto bene una calda ma tranquilla affezione che sapesse molto intendere e molto compatire e molto perdonare; non “vinetto annacquato” ma salutare e ritemprante soccorso. Non agli altri io chiedo questo. Volete?»14. Vittoria aveva paura del futuro, della solitudine, si sentiva sfiorire sempre di più; avrebbe voluto star vicina a un uomo che avesse potuto offrirle sicurezza, comprensione, una «tranquilla affezione»; voleva afferrare le ultime possibilità di sposarsi. Aveva perciò coraggiosamente preso queste iniziative; ma entrambi i tentativi non erano andati in porto.

Inoltre l’addoloravano molto gli scoppi d’ira della sorella Mary, malata di mente, nei suoi confronti. Scrisse il 6 marzo 1901 all’amica scrittrice Neera (Anna Radius Zuccari): «Traverso un periodo della mia vita molto triste [...] ogni energia di azione e di lavoro sento che se ne va da me, e rileggendo la cara tua lettera fraterna sorrido di amarezza pensando che mi crederesti ancora capace di ricominciare la vita! Ah sí, questo te lo confesso, sono in me momenti di ribellione e una sete di un po’ di pace d’un po’ di bene, sempre sempre sognato e non avuto mai; ma sono momenti, giacché vedo l’assurdità d’ogni mia speranza. “Scegli tra i tuoi ammiratori (tu dici) un uomo semplice, di cuore che sappia apprezzarti e che ti ami”. – Ma tu mia cara e buona amica parti da un punto fantastico e giungi cosí all’impossibile. Io non ho che qualche raro ammiratore letterario, ma gente che “mi ami” nessuno. / Ora ti domando come si fa a scegliere o anche soltanto a prendere qualcosa che non esiste? / Tu puoi credermi, giacché vedi come ti scrivo. Io sono ormai una vecchia donna che può ispirare dell’amicizia, nient’altro, ed io mi accontenterei ormai d’un po’ di pace, ma anche questa, pare, mi sarà negata fino alla morte»15.

Dopo, però, volle tener conto del consiglio di Neera. Aveva già conosciuto lo statista umbro Guido Pompilj16, colto, intelligente, attivissimo in politica, ed era attratta dalla sua figura; nei primi giorni di gennaio 1901 gli aveva scritto a lungo della sua vita, della sua famiglia, gli aveva «aperto l’anima»17. Il 16 maggio 1901, da Napoli, gli palesò coraggiosamente le sue intenzioni: «Perché vorrei ora prender marito? perché sarebbe l’unica maniera di vivere con Lei, per Lei, vicina a Lei; ché se fosse possibile far questo senza sposarla io non Le chiederei, cioè non Le avrei chiesto di sposarmi mai [...]. Quando speravo ancora [...] posso confessarglielo, quella mattina là a Roma ho sperato, d’un tratto, quasi con sicurezza ch’Ella mi volesse bene! avrei voluto dirle io: “Se mi vuoi bene, se vuoi sposarmi, facciamo presto, presto, presto, ch’io possa darti ancora questo ultimo clemente guizzo di vespero. Ora, per questa gran gioia, per questo mio grande amore, mi sento ancora giovane, sono ancora giovane, ma domani, chi sa? dunque non aspettiamo, te ne supplico”. Questo pensavo, questo avrei voluto dirle allora, quella mattina indimenticabile e unica»18.

Per tornare al nostro discorso, a giugno del 1901 Virginia di nuovo non stava bene e le fu prescritta per il secondo anno la cura dei bagni minerali a Castellammare. Vittoria le fece compagnia. Il 6 luglio fu a Castellammare con la sorella e il cognato, nella bella dimora dei Moliterno a Quisisana, fu incantata dal paesaggio e, spinta dalle preghiere della principessa, cominciò subito ad ideare le immagini, le parole e i versi di Villa Moliterno. Intanto approfittò per fare anche lei, con giovamento, la cura dei bagni. A Quisisana conduceva «una vita di igienica contemplazione» e «molto all’aperto», come scrisse a Marina Sprea, godendosi il bel paesaggio e il fresco del parco o con passeggiate nel vicinissimo bosco, manteneva le sue fitte relazioni epistolari, componeva qualche verso, insieme con Virginia e Cesco riceveva gli amici in visita da Napoli o in villeggiatura. Il 19 agosto, lasciando i Mirelli, partí per Cava dei Tirreni, dove continuò a elaborare i versi nati a Quisisana; il 2 settembre era di nuovo a Castellammare per rivedere e salutare Virginia e Cesco prima del ritorno a Venezia; vi rimase fino al 9, quando ritornò a Cava da Angelica; il 20 partí per Venezia.

Ripercorreremo da vicino questi momenti del soggiorno stabiese e cavese di Vittoria attraverso il racconto da lei fatto nelle lettere agli amici.

In quella inviata da Napoli il 27 giugno 1901 a Guido Pompilj sono descritti i tentativi per poterlo incontrare a Napoli o a Portici (dove risiedeva la madre, Giuseppina Becherucci risposata Palmucci), anche a costo di far rimandare ulteriormente la partenza per Castellammare fissata per il 6 luglio, e non è celata la speranza di vederlo venire, possibilmente, proprio a Castellammare:

 

Guido caro. Proverò ad ottenere che si rimandi di due giorni la partenza, ma non so che pretesto addurre per questo. Ieri Mirelli s’impazientò pensando che si era rimandato di giorno in giorno fino al sei. Ad ogni modo vedrò di riuscirvi, ma Le saprò dire poi se si o no. Sarebbe altrimenti difficile ch’io potessi venire a Portici proprio la vigilia della partenza, mentre vi saranno disposizioni da prendere e la gente di casa in giro, e Virginia vorrà forse fare qualche ultima visita etc. etc. Se fossi sicura di trovar Lei a Portici il 4, verrei io, senz’altro, senza dire che è giunto; e solo per salutare i suoi prima di partire. Poi direi che Ella venne senza avvisare e la trovai là, e che il ... sarebbe venuto a vederci. Ma se Ella deve andare un giorno in campagna prima di partire da Perugia non potrà essere a Portici nemmeno il 4, e allora io vi andrei per nulla [...]. A Levico si ricordi che non deve rinunziare per nulla al mondo. A Castellamare verrà quando potrà, ma a Levico bisogna che vada; Le raccomando tanto! Ha necessità assoluta d’un po’ di riposo e di buon’aria di non pensare che alla salute, almeno per una ventina di giorni [...].

Piú tardi—

A colazione ho tirato il discorso sulla partenza, e vedo che non è possibile rimandare [...]. Siamo rimasti cosí, per cui, il 4 io potrei venire a Portici anche col pretesto di sentire dalla sua mamma se Lei viene o non viene il dí dopo, ma bisognerebbe che il 4 Lei fosse di certo a Portici e che io lo sapessi. Se no ci vorrà pazienza, e aspetterò dopo il suo ritorno da Levico, se anche a Castellamare non po­trà venire. E mi voglia bene e senta che gliene voglio tanto. Fadette19.

 

Arrivata a Castellammare, dalla Villa Moliterno a Quisisana, dove i Mirelli sono ospiti di Antonietta Tricase, il 10 luglio 1901 Vittoria scrive all’amico Almerigo da Schio20. Spiega il motivo di questo suo soggiorno, l’incanto del posto, le virtú dei bagni della Confluente iniziati quel giorno da Virginia e da lei stessa:

 

Il mio desiderio è di venire a trovarvi” questo autunno, ma come volete che si possa far progetti quando il destino pensa lui a mutare ogni proponimento? Partendo da Venezia, il mio pensiero era di tornarvi in Luglio dopo aver passato un mese con Virginia e un mese con Angelica. Invece Virginia si ammalò, io non ebbi naturalmente cuore di lasciarla, e quando il medico le prescrisse i bagni di Castellamare ed ella mi pregò di accompagnarvela, non seppi dire di no. Cosí resterò tutto il Luglio con lei, e poi dovrò andare da Angelica un po’ di tempo, giacché mi tiene già il broncio per il mio ritardo.

Prevedo che non potrò tornare nel Veneto che in Settembre [...].

Io sto benino in questa pace e in questo clima delizioso. Figuratevi che né a Napoli finché vi fui, né qui ora si ha ancora avuto il vero e seccante caldo che a Venezia mi dicono abbia imperversato. Qui sempre un’aria fresca e impregnata di odori silvestri o di mare, perché da un fianco della villa abbiamo l’incantevole bosco di Quisisana, e d’intorno le alte piante del parco magnifico, in fondo al quale, disposto sul declivo erboso sparso di macchie e incorniciato da palme e cedri del Libano, s’apre gloriosa la magnificenza del mare. A destra la valle di Pompei; piú in là il Vesuvio fumante, con le falde biancheggianti di ville e paesi; l’isoletta romantica di Revigliano e un andirivieni di paranzelle e di barche tutte piene di sogni. Un incanto vi dico.

Virginia ora va proprio rifiorendo di giorno in giorno, e oggi appunto cominciò i bagni della Confluente. Io pure li fo. Sono ricostituenti, vi è ferro, arsenico, zolfo e mille altre buone cose. Ma il medico mi diceva che attribuisce la loro efficacia piú che altro a una loro qualità di elettrolisi; forse sbaglio a ridire, ma insomma a certa elettricità che la loro composizione sviluppa21.

 

Si avvertono, nella lettera, la gioia di Vittoria nel vedere Virginia rifiorire, a soli quattro giorni dall’arrivo, e, intenso, il piacere suscitato dal posto, dall’aria, dal paesaggio incantevole. Nella ispirata descrizione ella usa già le immagini che costituiranno le prime tre strofe della lirica Villa Moliterno (Una dimora che ai convegni eletta / certo avriano le Grazie, e, accanto, i lieti / trionfi delle palme, intorno avvinte / dalla glicine in fiore, e i cedri insigni / del Libano, e i metallici fulgori / delle magnolie. // Molli prati e vivide / famiglie di verbene in mezzo al fresco / idillio d’ombre, finché poi non s’apre / libero, a pie’ della ridente china, / il velario magnifico del verde / sulla gloria del mare. // Ali di candide / paranze vanno per l’azzurro, e insieme / passano con veloce ala i ricordi, / passano le veloci ombre dei sogni. / Certo non mai la dolce estasi il core / mio scorderà, della bellezza eterna / finché s’accenda). I versi, quindi, erano già nati nella sua mente e probabilmente già abbozzati sulla carta.

È da notare anche il suo interesse per i bagni della Confluente (cosí detta perché costituita dalla confluenza di acque con caratteristiche e virtú diverse provenienti da alcune delle principali sorgenti stabiesi) nello stabilimento termale di Castellammare e per la «qualità di elettrolisi» a cui il medico attribuiva la loro efficacia.

 

Castellammare di Stabia. Interno dello Stabilimento delle acque intorno al 1900

 

Il 15 luglio 1901 scrive a Marina Sprea Baroni Semitecolo22 partecipando anche a lei la malattia di Virginia, il motivo del soggiorno a Castellammare, l’incanto del posto e della villa in cui soggiorna e l’efficacia della cura dei «bagni ferrati che mi giovano molto per l’anemia». Esalta inoltre le infinite attenzioni della principessa Antonietta, anch’essa presente fino ad allora e in procinto di partire per Aix, lasciando tuttavia la villa affittata ai Mirelli per tutta l’estate:

 

Anch’io sono scusabile se non ti ho scritto prima. A Napoli ebbi Virginia malata (dolori alle reni, perdite abbondanti e prolungate, etc etc.) quasi per un mese, ed avendole il medico prescritto assoluto riposo, io la facevo pazientare a letto con lunghe letture e chiacchierette etc etc. Il dottore le prescrisse poi i bagni di Castellamare e Virginia mi pregò di accompagnarla qui, né io ebbi cuore di rifiutarle quel che mi chiedeva, non vedendola ancora del tutto riavuta. Ora, grazie a Dio posso dirti che Virginia sta proprio benino e va rifiorendo di giorno in giorno. Qui la temperatura è mitissima anzi deliziosa. Abbiamo alle spalle il bosco di Quisisana, davanti il mare, e l’aria è sempre fresca e impregnata di selva o di salsedine. Questa villa poi è un incanto, e la buona principessa che ci vuole ospiti sue fino a oggi (domani ella parte per Aix e la villa resta fittata ai Mirelli per tutta la stagione) ci colmò di tante e tali bontà che a enumerarle ci vorrebbe un volume. Basterà dire che la sua ospitalità può quasi andar a pari con la tua, e come te ci fece trovare sulle toilettes e sulle scrivanie ogni utile cosa, perfino i bolli da lettere come fai tu [...]. Angelica mi aspetta a Cava col muso, e vi andrò in Agosto, ma ora sono qui e faccio anch’io questi bagni ferrati che mi giovano molto per l’anemia [...]. Io vedi che per ora non posso tornare nel Veneto, e non potrò farlo penso, che in Settembre23.

 

Il 2 agosto scrive allo Gnoli dicendosi «sbalordita» per i bellissimi e originali versi da lui incredibilmente composti nelle forme «moderne» sotto il nome di Giulio Orsini ed orgogliosa perché erano stati scritti pensando a lei; smentisce poi le «cattiverie» da lui manifestate accusandola di aver voluto confonderlo «tra le schiere degli ammiratori» e di non volere la sua «amicizia affettuosa»; infine lo rassicura di essere «discreta» e di non rivelare l’identità dell’Orsini24. La lettera, molto importante per i motivi ora accennati, non contiene tuttavia riferimenti a Castellammare e alla nascente lirica Villa Moliterno.

Domenico Gnoli è venuto a Castellammare a trovare l’Aganoor e forse proprio nella villa di Quisisana si è trovato confuso e trascurato «tra le schiere degli ammiratori». Lo si ricava dalla lettera scritta da Vittoria nello stesso 2 agosto all’«amico buono» Salvatore Di Giacomo25. Il Di Giacomo, infatti, è stato a Quisisana, ha fatto delle belle foto (di Vittoria, dei presenti, della villa «che riuscí d’incanto»), ma in nessuna compare lo Gnoli:

 

Sento proprio un gran bisogno di ringraziarvi e specialmente di questa piccola fotografietta quadrata su cui scriveste una parola cara. Son quasi tutte riuscitissime queste fotografie ed io vorrei pregarvi di mandarmi qualche altra cartolina col mio ritratto solo; perché ho trovato modo di togliere con un finissimo temperino quelle due tremende (e ahimé autentiche!) rughe agli angoli del naso e della bocca, e sono ridiventata giovane che mai! Vorrei anche (o sono orribilmente indiscreta?) che mi mandaste alcune cartoline con la villetta, che riuscí d’incanto. La Marchesa Vasaturi è beata di quelle dei suoi bambini e Cesco pure e Virginia. Contento penso che non sarebbe il Gnoli, il quale non è riuscito né bene né male pover’omo! Come va che non lo si vede mai?26.

 

Accanto alla richiesta di altre stampe delle «riuscitissime» foto, la lettera contiene, a proposito delle canzoni digiacomiane, interessanti impressioni e riflessioni, che rivelano anche gli stati d’animo di Vittoria in quel periodo:

 

Ho letto solo ieri la vostra canzone sul Corriere di Napoli. Dovrei dire le vostre, ma per me la prima è assai superiore alla seconda, e la ho riletta tante volte e l’ho mandata a mente, e mi piace tanto, ed è tanto triste come tutto infondo quello che scrivete e che pensate e anche che dite talora. Ma è anche tanto giusta, vera, umana; (non so dire) quella canzone. Infondo a ciascuno di noi vi è la sfiducia, la diffidenza, lo scetticismo piú nero, ma intanto che sete di gioia e di fede! Mai mai mai un’ora di completa sincerità, di completo abbandono, e sempre invece intesi a imbavagliare le voci dell’anima nostra, gl’impeti caldi e schietti, gli slanci di tenerezza e di passione. E allora naturalmente non si crede piú a niente, e anche non importa piú di credere. Pensiamo che tutti mentono, e che vada bene cosí; ma “Carulí” ha detto d’amarci; ebbene prestiamole fede per un ora, e dopo basta27.

 

Due giorni dopo, domenica 4 agosto, sempre dalla villa Moliterno, riscrive al Di Giacomo una lettera interessante per quel che dice di sé e dell’artista napoletano e per particolari riferimenti a persone e fatti. Afferma tra l’altro in fretta e in maniera un po’ enigmatica —evidentemente il poeta glielo ha chiesto— che Francesco Cimmino (il suo amore ormai passato) non è venuto «a vedere il chiaro di luna». Dice che a Quisisana si aspettano l’«amico buono» Di Giacomo per la prossima domenica, verso le dieci, l’ora in cui arriva abitualmente Santamaria28. Annuncia che il 15 partirà per Cava dei Tirreni, per cui sarebbe contenta di essere un’altra volta fotografata, magari in una luce che la mostrasse giovanissima. Seguono i complimenti per l’uomo e l’artista, quindi saluti e ringraziamenti vari:

 

Ho perfino rimorso di rubarvi qualche ora con le fotografie e il resto, ma vi sono tanto grata di essere ad ogni modo cosí squisitamente cortese. No, Cimmino non venne “a vedere il chiaro di luna”. Voi dovreste tornare Domenica prossima e appunto nell’ora che viene Santamaria, verso le dieci. Avvisatecene sempre, ve ne preghiamo, perché Cesco si fa una festa di venire incontro agli ospiti, e noi non vogliamo (le solite civetterie anche delle donne vecchie, anzi di queste) farci trovare spettinate, e in veste da camera. Io parto il 15 per Cava e sarei tanto contenta se mi faceste davvero una fotografia, in cui mi rivedessi nella buona luce... dei miei sedici anni. Ma nessuna Kodak al mondo potrà mai togliere a un viso umano le crudeli graffiate del tempo e del dolore. Che belle queste imitazioni pel nostro fascicolo, che vere! ma come sapete far tutto bene e quanto dovete esser contento di voi! [...]. Ho detto alla Marchesa e al Marchese Vasaturi dei vostri saluti e li ricambiano cordialmente. Li manderò anche a Gnoli scrivendogli. Cesco e Virginia vi aspettano e quest’ultima vuole vi chieda se riceveste la sua lettera con le insinuazioni di Cesco il quale vi è gratissimo dei giornali (appunto oggi venne il Santamaria ma non li mostrammo il Monsignor Perelli!!) e delle stampe. Voglio le vostre canzoni, le altre vostre canzoni; assisterò con gioia al vostro “inebriamento settembrino”, la massima delle benedizioni per un artista. E aspetto il ritratto. Portatemi tutto, voi, e abbiatevi fin d’ora i miei ringraziamenti tanto vivi e schietti29.

 

Il 7 agosto ancora scrive al Di Giacomo, ringraziandolo delle fotografie avute e richiedendo altre cartoline con la piccola foto della villa Moliterno; chiede inoltre il suo intervento per la corretta spedizione di due copie del numero di «Piedigrotta» commissionate all’editore Ricordi da entrambe le sorelle (una da inviare a Cava, dove Vittoria il giorno 15 conta di trasferirsi, e l’altra a Quisisana, dove Virginia continuerà la sua permanenza estiva); in aggiunta, dopo la firma, il suo sperato «arrivederci» alla prossima domenica:

 

Mille e mille grazie di queste bizzarre fotografie, e piú dei vostri due ritratti che mi piacciono tanto. Guarda levarsi e svanire le chimere del fumo il poeta, o giungere le legioni dei sogni? Vorrei ........ delle altre villette in cartolina chiara, da potervi scrivere su. (Che indiscreta quella Vittoria!) ma voi siete tanto buono. Abbiamo mandato la bolletta di commissione al Ricordi per il Numero di Piedigrotta, ma vedete voi che non facciano confusione, perché la bolletta era una sola e vi abbiamo posto due firme; una io e una la Virginia. La mia bisogna che me la mandino a Cava dei Tirreni e quella della Virginia quí. Vi raccomando. [...].

Arrivederci domenica – vero?30.

 

Interessante anche la lettera che la sorella Virginia scrive al Di Giacomo il 9 agosto, e non tanto per i consigli che premurosamente, quasi maternamente, dà al poeta di non affaticarsi troppo e non «consumare la propria esistenza» (parte che non riportiamo), quanto per una nuova richiesta della «cartolina della fotografia del villino Moliterno», tanto bene riuscita, e l’invito a venire la domenica successiva con l’indicazione della corsa del treno da «scegliere» e l’alternativa di anticiparsi per ascoltare insieme la messa nella cappella della villa:

 

Me lo farete il grande piacere di procurarmi una cartolina colla fotografia del villino Moliterno che vi riuscí cosí bene? Non mi dite indiscreta, ma che volete, la trovai cosí carina, cosí perfetta, che non seppi resistere alla tentazione di mandarla a Aix alla Principessa, ed io .... son rimasta senza. Mi compiacerete senza troppo mormorare? E Domenica vi avremo con noi? Se si, badate che vi voglio anche a colazione, scegliete dunque le ore antine. C’è un nostro amico che verrà pure quel giorno e prenderà il treno che parte di costà alle 10.55 per essere quí circa un’ora dopo; potreste scegliere anche voi quella corsa. Tanto meglio però se veniste prima, si ascolterebbe insieme la messa nella cappellina della villa31.

 

Il 10 agosto 1901, sempre da Villa Moliterno, Vittoria comunica anche ad Almerigo da Schio di restare in quel «vero paradiso» fino al giovedí 15 agosto per spostarsi poi a Cava dalla sorella Angelica:

 

Io resterò qui, in questo vero paradiso, ancora fino a giovedí, 15. Poi andrò a Cava dei Tirreni dall’Angelica che comincia a impazientarsi del mio lungo indugio. A Cava vorrei rimanere non piú d’un mese e poi in Settembre tornarmene a Venezia anche per qualche affaruccio da sbrigare32.

 

A Domenico Gnoli, ancora nell’agosto, scrive sulla nuova poesia da lui composta con lo pseudonimo di Orsini e risponde al suo rimprovero di non avergli inviato gli auguri per S. Domenico33. Allo stesso Gnoli invia il 14 agosto una cartolina con una veduta di Castellammare da Quisisana, contenente qualche affrettata comunicazione e qualche breve domanda34. Anche in queste due occasioni non parla allo Gnoli del luogo e della poesia che sta componendo.

Rimasta a Castellammare, nonostante i propositi di partire il 15 agosto, il giorno 16 scrive a Marina Sprea di aver rimandato la partenza per Cava al lunedí 19. Le manifesta anche la sua contentezza, perché erano state da lei gradite le tipiche gallette di Castellammare che le aveva in precedenza spedito, e di nuovo descrive il soggiorno a Quisisana e la vita «molto all’aperto» nel vicino «delizioso» bosco e nell’ombroso panoramico parco della villa in cui alloggia, decantato con immagini da confrontare utilmente con quelle della lirica Villa Moliterno:

 

Le gallette te le ho mandate io perché sono bonissime col latte, il caffè, etc e leggierissime. Sono tanto contenta che tu le abbia accolte bene [...]. Io parto di qui lunedí prossimo, 19, per Cava dei Tirreni, giacché l’Angelica non vuol piú sentir parlare di dilazioni, e d’altra parte volendo io essere a Venezia per la metà di Settembre, debbo affrettarmi giacché altrimenti non resterei nemmeno un mese con lei [...].

Virginia ora sta proprio bene e la lascio tranquilla affatto [...]. Qui facciamo una vita di igienica contemplazione, perché davanti alla villa, fino alle 4 p. m. abbiamo l’ombra, e cosí stiamo là, fra le palme e i cedri del Libano, guardando il mare col Vesuvio in fondo, e le nuvole e i sogni che recano sulle lor mobili groppe. Qualcuno vien sempre da Napoli a colazione o a pranzo da noi, e la vita si fa molto all’aperto, nel bosco di Quisisana (delizioso) che abbiamo alle spalle o come ti dissi nel parco della villa35.

 

Suscita interesse l’espressione «le nuvole e i sogni che recano sulle lor mobili groppe». Se infatti, insieme con quella della lettera 246 ad Almerigo da Schio («un andirivieni di paranzelle e di barche tutte piene di sogni»36), la si confronta coi versi Ali di candide / paranze vanno per l’azzurro, e insieme / passano con veloce ala i ricordi, / passano le veloci ombre dei sogni, potrebbe probabilmente indicarci come —legando simbolicamente i sogni ora alle barche ora alle nuvole— si sarebbe sviluppata la moderna, quasi ‘ermetica’ immagine delle veloci ombre dei sogni.

Ad Almerigo da Schio, su cartolina di Castellammare con veduta di Corso Garibaldi, nello stesso 16 agosto invia una breve comunicazione sulla partenza per Cava fissata per il 19:

 

Io parto lunedí 19 corrente per Cava dei Tirreni. Sto preparandomi alla partenza e però vi scrivo in fretta37.

 

Parte per Cava dei Tirreni dalla sorella Angelica, che ha insistito per averla con sé. Il 31 agosto è ancora a Cava, da dove scrive a Salvatore Di Giacomo38. Ma il 2 settembre è già andata via, secondo quanto in quel giorno Angelica scrive ad Almerigo da Schio («Vittoria è partita per Venezia e credo che il 26 sarà a Verona pel Congresso della Dante Alighieri»)39.

Vittoria non torna subito a Venezia; si reca ancora a Quisisana per rivedere e salutare Virginia e Cesco e decide di rimanervi per alcuni giorni. Il 9 settembre, infatti, scrive una cartolina ad Almerigo da Schio da Castellammare:

 

Venni qui a salutare i Mirelli prima di tornarmene nel Veneto e stasera sarò a Cava dei Tirreni di nuovo, di dove partirò il 18 o 19 per Venezia 40.

 

Il giorno dopo, ritornata a Cava (probabilmente per non dispiacere alla sorella Angelica che sempre reclamava la sua presenza), scrive a Domenico Gnoli ancora sulle poesie di Gnoli-Orsini e sull’atteggiamento dell’editore Treves restio alla pubblicazione. Poi, nel riferire sul modo di trascorrere il tempo a Cava («scrivo molte lettere e qualche verso»), afferma di essersi proposta di «finire e limar a dovere» i versi scritti sul Trasimeno e di inviargli, dopo averli «un po’ martellati ancora» («Piaceranno poi all’Orsini?»), quelli della lirica Villa Moliterno, composta su richiesta della principessa di Tricase («che me ne pregò tanto»). Dalla lettera abbiamo anche l’ulteriore conferma che lo Gnoli è stato a Castellammare a trovarla durante il suo soggiorno stabiese:

 

Dunque Treves duro? Avreste potuto benissimo dirgli che m’avevate vista a Castellammare; vi assicuro che non avreb­be mai collegato l’Orsini con voi [...]. Che faccio alla Cava? scrivo molte lettere e qualche verso; ne scrissi alcuni sul Trasimeno che se mi riesce di finire e limar a dovere vorrei dare al Ferraris, che da tanto mi chiese qualcosa per l’Antologia. Poi scrissi. anche dei sciolti per la Villa Moliterno, o cioè per la pro­prietaria di quella villa che me ne pregò tanto, e ve li manderò, appena li abbia un po’ martellati ancora. Pia­ceranno poi all’Orsini? Io vorrei ripassare da Roma il 18, e alle 8 di sera aspettando il treno delle 11 e 10. Ma se mutassi vi riscriverò o telegraferò.

Ricevo ora la vostra del 9. Fui a Castellammare dai Mirelli, e tornai qui solo iersera, per cui trovai qui la vostra cartolina dal Foro Romano, che l’Angelica trattenne con le altre lettere dovendo io tornare presto. Sto bene e potrete constatarlo passando io per Roma come vi dissi il 18 di sera; ma conto restare a Venezia solo l’Ottobre e tornare a Napoli ai primi di Novembre. Cosí ci rivedremo ancora. Anche l’Angelica vuol esservi ricordata con molta amicizia e si augura di vedervi qui un altr’anno; anzi è un po’ in collera con voi perché foste a Castellammare e non pensaste a Cava dei Tirreni cosí poco lontana. Ma io le dissi che avevate il tempo contato ecc. ecc. Bugie in fondo, perché realmente avreste benissimo potuto fare una punta da lei41.

 

Villa Moliterno, tanto richiesta dalla principessa Antonietta, non era stata dunque ultimata il 10 settembre 1901, nel senso che i versi richiedevano di essere ulteriormente rifiniti e curati, «un po’ martellati ancora», il che avvenne molto probabilmente prima del giorno 20, quando Vittoria ripartí per Venezia per prepararsi alle nozze con Guido Pompilj, o forse anche qualche giorno dopo. Ad ogni modo la poesia fu pubblicata il 3 ottobre sul «Corriere di Napoli», in prima pagina, nella rubrica Api Mosconi e Vespe firmata «Vice», preceduta da un garbato trafiletto dal titolo Le ville, nel quale, anche se con un’inesattezza sul periodo di soggiorno di Vittoria a Quisisana («ha passato tutto il settembre»), si accennava al rapporto tra le due sorelle e altri villeggianti a Castellammare di loro conoscenza, nonché al permesso di pubblicare i versi fatto pervenire da Venezia: «Nella villa di quella gentilissima e finissima signora che è la principessa di Tricase e Moliterno, in quella fresca e suggestiva dimora estiva della dama piú amata nella nostra aristocrazia, Vittoria Aganoor ha passato tutto il settembre, assieme alla sorella duchessa di Santomenna. In questo tempo le gentili signore hanno attorno a loro raccolto, in lieto e spirituale convegno, tutti coloro che villeggiavano a Castellammare e che hanno il piacere di conoscere cosí colte dame. Ora la villa Antonietta non ha piú ospiti: la signora duchessa di Santomenna è a Cava dei Tirreni, Vittoria Aganoor è tornata a Venezia. Ma di là, sempre cortese, memore ancor sempre delle indimenticabili giornate passate a Quisisana, ella non si rifiuta alla preghiera che le ho dato e mi permette di pubblicare i suonanti e be’ versi che dedica al felice albergo ove ha passato cosí felici giorni»42.

Nella sua stesura definitiva, la lirica, col titolo Villa Moliterno (Quisisana) e con dedica «alla Principessa di Tricase», è composta di ventinove endecasillabi sciolti (di cui due sdruccioli con omeoteleuto) ripartiti liberamente in cinque strofe di non pari lunghezza, agganciate l’una coll’altra attraverso quattro endecasillabi (vv. 6, 11, 17, 24) recisi ciascuno in due emistichi, di cui il primo chiude una strofa e il secondo apre la successiva.

È un espediente, questo, che crea da una parte una pausa marcata tra una strofa e l’altra, ma che anche provoca dall’altra l’attesa dovuta al desiderio di continuare il verso interrotto, di andare al di là dell’interruzione. Del resto è ciò che in qualche modo capita anche con quasi tutti i versi di questa poesia attraverso il procedimento dell’enjambement, che, separando due parole concettualmente legate, fa prolungare oltre la pausa ritmica il periodo logico e crea una particolarissima vaga musicale sensazione.

La musicalità della poesia è poi evidente negli accenti, nelle cadenze, nelle accennate, quasi celate assonanze, nel ruolo che sembrano assolvere le liquide di creare nel suono il fremito della natura e il rapimento dell’anima dell’autrice.

Villa Moliterno non è solo armonica, ben costruita, nobile per forma e stile; è anche densa di immagini, di suggestioni, di riflessioni, di sentimento; e può certamente considerarsi tra le piú riuscite delle 71 composizioni che confluiranno nel 1908 in Nuove Liriche. Se ne era ben accorto l’esigente e raffinato Ferdinando Martini quando scriveva a Guido Pompilj il 14 gennaio 1909 a proposito della nuova raccolta di Vittoria Aganoor: «Qui il sentimento è vivo e schietto: l’espressione alata, l’eloquio ricco, il verso tor­nito e forbito. / La mia ammirazione (e io non sono uomo da complimen­ti) non solo si conferma ma cresce. / Quali di queste poesie mi piacciono piú; questo domandi. Trasimeno (sebbene sia la tua glorificazione) - Castel di Zocco - Villa Moliterno - Il Giudizio - In morte di un poeta - Dal Frontone - Sera estiva: - aggiungerei Villa Medici, che ha impeti veramente belli e alcune strofe perfette; ma in altre la forma non è sempre squisita come in quelle: e c’è troppo lusso di colore, un epitetare frequente, con non sem­pre utile abbondanza»43.

L’Aganoor inizia la prima strofa con l’immagine della bella villa, che le stesse Grazie avrebbero scelto per i loro convegni, con accanto le splendide palme avvinte dalla glicine in fiore, i maestosi cedri del Libano, le magnolie dalla metallica lucentezza:

 

        Una dimora che ai convegni eletta

        certo avriano le Grazie, e, accanto, i lieti

        trionfi delle palme, intorno avvinte

        dalla glicine in fiore, e i cedri insigni

        del Libano, e i metallici fulgori

        delle magnolie.

 

Nella seconda strofa lo sguardo si posa sui soffici prati e sulle rigogliose famiglie di verbene, in mezzo alla ombrosa e fresca cornice degli alberi. Anni prima, in Leggenda Eterna, Vittoria aveva già sognato con qualche immagine pascoliana un solitario prato tutto verde (è nel mio sogno un prato tutto verde / solitario, tra due / spalle di monte, e l’erba trema al soffio / dell’ombra... / Di là, nel sole, cantano, / ma il canto va lontano e poi si perde... / Piú solitario resta / e piú silenzïoso, / nel mio sogno, quel prato tutto verde...44). Ma qui ora il verde, degradando gradevolmente, s’apre «libero», interamente e splendidamente, sulla magnificenza del mare:

 

                                        Molli prati e vivide

        famiglie di verbene in mezzo al fresco

        idillio d’ombre, finché poi non s’apre

        libero, a pie’ della ridente china,

        il velario magnifico del verde

        sulla gloria del mare.

 

Ora è l’azzurro del mare, solcato dalle bianche vele delle paranze come ali nel cielo, che attira lo sguardo; ed è come se passassero velocemente le ali dei ricordi, cosí come le ombre dei sogni (sogni legati alle barche, ma anche alle nuvole, come si è visto prima nella lettera del 10 luglio 1901 ad Almerigo da Schio e in quella del 16 agosto 1901 a Marina Sprea Baroni). Il cuore non potrà scordare la «dolce estasi» provocata dalla «bellezza eterna»:

 

                                        Ali di candide

        paranze vanno per l’azzurro, e insieme

        passano con veloce ala i ricordi,

        passano le veloci ombre dei sogni.

        Certo non mai la dolce estasi il core

        mio scorderà, della bellezza eterna

        finché s’accenda.

 

Sensazioni che sono squisitamente e profondamente aganooriane. Vittoria stessa, nella premessa alla lettura tenuta al Collegio Romano nel marzo del 1906, riconosceva questi «moti dell’animo» suo anche nella sua fanciullezza: «Mia sete grande era poter dire in versi tutto ciò che mi passava nell’anima; e mentre, poniamo, guardavo da una finestra, sul vespero, una vallata e i monti lontani e sentivo l’odore della selva vicina in germoglio; e vedevo scolorarsi il cielo al miracolo delle stelle; mi struggevo di non poter rendere, non quella scena soltanto, ma insieme i centomila pensieri che mi turbinavano in mente a quella visione di bellezza, e le sensazioni suscitate da quelle fragranze, e le fantasie strane, che a me parevano presentimenti o ricordi, e, insomma, tutta la indefinibile deliziosa inquietudine dell’età sognatrice»45. Si veda anche ciò che scrisse a Gnoli il 26 agosto 1898 per disapprovare la «troppa serenità olimpica» dei sonetti della Brunamonti, composti osservando la natura con «animo tranquillo»: «Quel che mi passa sotto gli occhi, specialmente nella campagna [...] io non lo guardo mai, o quasi mai, con “animo tranquillo”. I versi piú belli, quelli che non ho mai mai scritti, quelli che non scriverò mai, mi cantano allora dentro, mi commovono, mi esaltano, e vorrei saper dire che impeti di ammirazione e di amore mi scotono, e vorrei parlare a voce alta e magari gridare talora tanto è complesso quello che sento, sensazione e sentimento, intuizione improvvisa di eternità e d’infinito, annientamento di tutto che è in me di meschino, reminiscenza confusa, ma certa, (chissà?) d’altre vite. Non so dire, ma voi mi intendete ugualmente. Come volete si possa guardare le montagne, queste figliole del caos e della violenza, queste millenarie veterane che rammentano le battaglie del foco e degli oceani, come volete che si possano guardare “con animo tranquillo”? Niente in natura è tranquillo e niente è tranquillo dentro di noi»46.

In fondo il Vesuvio fuma minaccioso. Ma ad un’Aganoor dall’animo anche leopardiano, che sente e riflette, nel mentre le rose intorno fremono segretamente un loro inno alla gioia che non dura, l’aria intorno sussurra: «Non vedi? Il giorno è breve. Accogli avida nella tua anima in estasi il balsamo di quest’ora come augurio del domani»:

 

                                        Minaccioso in fondo

        fuma il vulcano, ma da presso io sento

        fremere un lor segreto inno le rose

        alla gioia fuggente, e l’aria intorno

        susurrarmi: — “Non vedi? il giorno è breve;

        augurio del domani avida accogli

        per entro la rapita anima il vivo

        balsamo di quest’ora”.

 

Ecco che una rosa perde i petali e il tramonto distende i suoi mesti veli giú per le rive e i porti di Castellammare, mentre, sopra il tremulo specchio del silenzioso golfo, l’ultima rampa del Vesuvio immutata sfavilla verso il cielo:

 

                                        Ecco si sfoglia

        una rosa, e laggiú distende i veli

        mesti il tramonto per le rive e i porti,

        mentre immutata, del silente golfo

        sovra il tremulo specchio, al cielo incontro

        del Vesuvio l’estrema erta sfavilla.

 

La lirica si chiude con questa immagine di sapore ancora leopardiano. La riflessione dell’Aganoor, però, non è sull’indifferenza e sull’inganno della bella e onnipotente natura, quanto sull’eternità della bellezza da una parte e sul tempo che trascorre inesorabile e sulla «gioia fuggente» dall’altra. Abbiamo visto come la stessa Vittoria avesse scritto a Domenico Gnoli: «Forse non ritraggo dalla contemplazione della natura, piú colorita, piú luminosa e nelle sue varie forme, quell’ebbrezza e quel conforto che voi ne ritraete»47. Abbiamo visto anche come il Croce avesse colto il motivo del dolore che «pervade» tutta la sua poesia, la ricerca della pace, l’amore e la pena d’amore, e, oltre l’amore, «altri semplici e fondamentali sentimenti umani e femminili: l’incapacità di rassegnarsi al tramontare della gioventú, della bellezza, della freschezza corporea e spirituale; l’incapacità di rassegnarsi alla perdita del padre, della madre, delle persone care»48.

Il tempo infatti fa sfiorire (glielo ricordava la rosa che si sfoglia e l’aria stessa le sussurrava: Non vedi? il giorno è breve; / augurio del domani avida accogli / per entro la rapita anima il vivo / balsamo di quest’ora) ed ora l’Aganoor, all’età di quarantasei anni, ne era convinta piú che mai. Si pensi all’insistenza quasi ossessiva con cui chiedeva le sue foto al Di Giacomo, a come desiderasse apparirvi piú giovane e rivedersi nella «buona luce» dei suoi «sedici anni», senza le «crudeli graffiate del tempo e del dolore», ai tentativi di togliervi con un temperino le «tremende» rughe che segnavano il suo volto. Fu allora, fu in quell’atmosfera idillica, in quel paesaggio da incanto che meditò ancora sul senso della vita e sul trascorrere del tempo e volle cogliere, pensando al matrimonio con Guido, «l’augurio del domani».

 

Copia autografa di "Villa Moliterno"

 

Il soggiorno stabiese sembra quindi aver accompagnato una decisione tanto importante e difficile e Villa Moliterno, convertendo e superando la passionalità di certe liriche di Leggenda Eterna, sembra offrirci la chiave per capire questo periodo di svolta dell’esistenza di Vittoria.

Compendiamo, a chiusura, molto brevemente la sua vita successiva.

Tornata a Venezia da Cava dei Tirreni e confermata la decisione del matrimonio con Guido Pompilj —decisione allora non facile in considerazione della sua età—, lo annunciò con qualche pudore prima a pochissimi amici. Il 7 ottobre lo confidò a Marina Sprea: «Subito dopo le sorelle ecco io scrivo a te la grande novella che fra gl’indifferenti susciterà chiose e canzonature per la mia età, poco indicata per le nozze. Mi sono fidanzata a Guido Pompilj, un alto cuore un alto ingegno, e mi sposerò alla fine del novembre prossimo. Ecco detto tutto. Lo dirò fra qualche giorno ai più vecchi amici di casa, e il più tardi possibile a tutti gli altri, giacché mi figuro che giudicheranno con sogghigni ironici e poco benevolmente la mia decisione. Poco m’importa; ma ad ogni modo desidero che essi possano divertirsi alle mie spalle il più tardi possibile, e però ti raccomando per ora, per alcuni giorni ancora il segreto»49. Il 14 ottobre scrisse anche alla buona ‘consigliera’ Neera: «Io non voglio credermi scordata da te: io non scordai i tuoi consigli e le tue esortazioni fraterne. Sono fidanzata a Guido Pompilj e mi sposerò agli ultimi del Novembre prossimo o ai primi del Dicembre. Mandami una parola affettuosa e te ne sarà tanto grata l’amica tua»50.

Pensando alle condizioni di salute di Virginia e di Angelica (che era stata anch’essa ammalata) andò a sposarsi a Napoli. La cerimonia civile avvenne in Municipio il 28 novembre 1901; uno dei due testimoni della sposa fu il figlio di Antonietta Tricase, il nuovo principe di Tricase e di Moliterno, Pietro Giovanni Battista Gallone; l’altro fu l’abituale frequentatore dei Mirelli (anche durante il soggiorno di Cesco e Virginia a villa Moliterno), il senatore Santamaria Niccolini. Il rito religioso fu celebrato il sabato successivo in casa Mirelli. «Affronti ormai le lotte della vita appoggiata sur un nobile e forte braccio; ben lo meritava» augurò all’«anima dulcissima» con un biglietto il Carducci51.

Si trasferí nella casa del marito a Perugia, adattandosi bene alla nuova situazione, ma senza tralasciare le relazioni culturali e letterarie e le sue corrispondenze epistolari.

Nel 1903 fu ristampata Leggenda Eterna (Torino-Roma, Roux e Viarengo).

Nel 1908 uscirono le Nuove Liriche (Roma, La Nuova Antologia), contenenti Villa Moliterno.

Vittoria si ammalò e morí per un tumore in una clinica romana, dopo una duplice operazione, nella notte tra il 7 e l’8 maggio 1910. «Tacque all’orecchio degl’Italiani una voce di schietta, pensosa, nobil poesia; voce che scaturiva dal profondo di un’anima eletta e dell’anima cercava il profondo»52. Dopo poche ore Guido, non resistendo al dolore, si uccise con un colpo di pistola. Il tragico caso fu eclatante e addolorò tutta l’Italia.

Nel novembre del 1911 le due salme furono traslate da Roma a Perugia, accompagnate da Angelica, Virginia, Francesco Mirelli, la sorella e il fratello di Guido Pompilj. Non molto tempo dopo morí anche Virginia e l’anno successivo Francesco Mirelli si risposò. Nel dicembre del 1912 morí Elena, nel febbraio 1913 morí Angelica a Cava dei Tirreni. Mary, invece, sopravvissuta alle sorelle e ricoverata in manicomio, morí nel 1926.

La prima edizione delle Poesie complete di Vittoria uscí nel 1912, a cura dell’amico Luigi Grilli (Firenze, Le Monnier).

 

Villa Moliterno vista dal basso           "Veduta del parco di Villa Moliterno" (1903). Acquerello di Augustine Fitzgerald

 

Quanto alla Villa Moltiterno, intorno al 1902 si tentò di trasformarla in un hôtel di lusso, l’Hôtel du Parc (allora il solo nella zona fornito di luce elettrica in tutte le stanze e con la possibilità di bagni minerali al suo interno), subito frequentato da personaggi noti dell’aristocrazia o della cultura napoletana come ad esempio Roberto Bracco. Vi furono ospitati anche, nel giugno del 1903, Augustine e Sybil Fitzgerald, consigliati nel loro itinerario napoletano da Matilde Serao, da Salvatore Di Giacomo e dal duca e dalla duchessa Dusmet de Smours; e Augustine ne dipinse all’acquerello la veduta dal parco per illustrare il loro libro su Napoli che sarebbe uscito l’anno dopo53.

Per promuovere il nuovo hôtel si ricorse talvolta anche a Villa Moliterno di Vittoria Aganoor. Infatti troviamo riportata la lirica nel fascicolo Il varo della nave “Duilio” (pubblicato nel 1913 a Castellammare come numero-ricordo del giornale «La Verità» per quell’avvenimento del 24 aprile), inserita in una pagina riservata alla pubblicità dell’Hôtel du Parc, del quale si annunciava la riapertura estiva per il prossimo primo giugno, si mostravano due foto e si decantavano il conforto, la posizione, il parco54.

Ma l’Hôtel du Parc non ebbe lunga vita. Lo stesso Gino Gallone se ne andò da Napoli e da Quisisana e morí a Roma nel 1932. Otto anni prima era morta la principessa Antonietta. La villa era stata già venduta intorno al 192055.

 



 Post fata resurgo

 

 

NOTE

 

1 Le fu preferita da qualche contemporaneo la perugina Alinda Brunamonti, ma molti furono concordi nell’assegnarle il primo posto, anche se la sua poesia non fu letta allo stesso modo. Di seguito riportiamo tre diversi, significativi giudizi espressi nel 1910, l’anno della sua morte. Per Gabriele Antonio Borgese «non palpitava nella sua arte l’ala del genio, ma come ella prendeva sul serio la vita, cosí non scherzava con l’arte» e «fu nella vita come nell’arte una nobile e pura signora» (In morte di V. Aganoor, in La vita e il libro, II, Bologna 1928, pp. 172-175). Per Matilde Serao, invece, ella era «una vera poetessa, nella piú completa espressione di forza e venustà», in quanto nei suoi versi —singolare giudizio di una donna su una donna— erano presenti «non una delle piccole sentimentalità donnesche che, subito, abbassano e rendono mediocre il tono di una poesia femminile» (V. Aganoor, in «Rivista di Roma», XIV–1910, 10-11, pp. 342-344). Benedetto Croce seppe trovare componenti piú profonde, che per lui rendevano significativa la sua poesia («una delle piú dolorose che si siano sollevate in Italia negli ultimi tempi») e bello il suo breve canzoniere d’amore («certamente il piú bello che sia stato mai composto da donna italiana»): «Anima di donna, e non già spirito virile, come invece la Brunamonti [...]. La Aganoor amò e penò per amore, e pianse e rimpianse molto e molte cose, e cercò sempre, toccandola di rado e per pochi istanti, la pace interiore. [...] seppe ritrarre altri semplici e fondamentali sentimenti umani e femminili: l’incapacità di rassegnarsi al tramontare della gioventú, della bellezza, della freschezza corporea e spirituale; l’incapacità di rassegnarsi alla perdita del padre, della madre, delle persone care [...]. Di qui il dolore che pervade tutta la poesia della Aganoor» (La letteratura della nuova Italia, II, Roma-Bari 1973, pp. 345-352).

2 «Da’ veroni —raccontò lo scrittore abruzzese Domenico Ciampoli che fu tra i primi amici di Vittoria a Napoli— scorgevasi tutto l’incantevole golfo partenopeo, dalla punta di Posillipo al promontorio di Sorrento, da Nisida a Capri» (L’Aganoor giovinetta, in «Roma Letteraria», XVIII–1910, 6).

3 V. Aganoor, Lettere a G. Zanella (1876-1888), a cura di A. Chemello, Mirano-Venezia 1996, lett. XXXII, p. 40.

4 Cosí lo ricordò Vittoria nella premessa alla lettura tenuta al Collegio Romano nel marzo del 1906: «Quel mago della parola e del sentimento, prodigioso rivelatore d’immensità, che ebbe tutte le comprensioni, le intuizioni, le divinazioni del bello. E allora mi parve che dinanzi alle finestre del mio pensiero sparisse improvviso qualche avanzo di vecchia muraglia; e piú pieno e piú largo il soffio dell’aperto mi avvolse, e piú luminoso e piú vasto mi s’aprí l’orizzonte dell’arte» (V. Aganoor, Poesie complete a cura e con introduzione di L. Grilli, III ed., Firenze 1927, p. XLIX).

5 Ad es., Vittoria scrisse il 7 maggio 1878 allo Zanella: «Mi torna sempre in mente il canto del pastore dell’Asia, che verità spaventosa! Mi scriva presto Professore, fa tanto bene la sua serena parola! è proprio vero che molta parte della nostra infelicità è figlia del nostro pensiero, ma questo benedetto pensiero non è poi in fondo il nostro padrone? proviamo a licenziarlo pulitamente o a scacciarlo senza riguardo; se ne va per questo o piuttosto non martella in mente piú accanito di prima?» (V. Aganoor, Lettere a G. Zanella..., cit., lett. XLVII, p. 58).

6 «Che persone vedo? —scriveva il 31 maggio 1900 a Domenico Gnoli— tante! Dei piú intimi di casa Mirelli sono la principessa di Moliterno (viene spesso anche a desinare e la sera), Santamaria, il conte Gaetani, il marchese Ser­ra, la duchessa d’Albaneta (sorella di quel principe d’Abro che spo­sò la Villamarina) la principessa di Melissano di Bisignano e altre. Tra i letterati il Cimmino (che il Fogazzaro giudica il piú simpati­co dei napoletani), il Di Giacomo, Verdinois (ora assente), il duca Carafa d’Andria e moglie. Ma la folla dei conoscenti è grande e la prima Domenica (giorno in cui riceve Virginia; ora fortunatamente ha smesso i ricevimenti per la stagione e anche per prescrizione medica) mi trovai in una baraonda di gente metà della quale era a me ignota» (V. Aganoor, Lettere a D. Gnoli (1898-1901) per la prima volta edite da B. Marniti, Caltanissetta-Roma 1967, p. 194). Si veda anche, tra i Mosconi della Serao, In casa Mirelli su «Il Mattino» di Napoli del 21-22 maggio 1900: «Ieri, ancor piú affollato dei precedenti riuscí il ricevimento della domenica, in casa della gentilissima duchessa di Santomenna Mirelli. Negli eleganti salotti si riunirono moltissime dame, recatesi a portare il loro saluto alle intellettuali signorine Maria e Vittoria Aganoor, di passaggio per Napoli [...]. E tutte si congratularono vivamente con la gentile poetessa signorina Vittoria Aganoor, per l’ultima pubblicazione, fatta dal Treves, di un volume di versi, cui la nobilissima poetessa ha dato il titolo di Leggenda eterna».

7 Antonia Melodia, sposata a Giuseppe Gallone (principe di Tricase, principe di Marsiconovo e principe di Moliterno, senatore del Regno d’Italia dal 1861, morto nel 1898), dama di palazzo della Regina Margherita.

8 V. Aganoor, Lettere a D. Gnoli ..., cit., p. 20.

9 Domenico Gnoli (1838-1915), romano, fu critico letterario, poeta della classicistica Scuola romana, insegnante di letteratura italiana all’Università di Torino, direttore della Biblioteca Nazionale Centrale di Roma, Direttore della «Nuova Antologia» dal 1893 al 1897. Dopo Versi del 1871 e Eros (con lo pseudonimo femminile di Gina d’Arco) del 1896, pubblicò con grande successo nel 1903 (con lo pseudonimo di Giulio Orsini) un volume di poesie ispirato all’amore per Vittoria Aganoor, Fra terra ed astri, in cui, abbandonando la poesia tradizionale e convertendosi alle invenzioni della nuova poesia e alla sensibilità decadente, dichiarava il suo infelice, sfortunato amore. Le lettere scrittegli da Vittoria, per qualche tempo legata a lui sentimentalmente, sono inserite nella importante raccolta curata da Biagia Marniti (V. Aganoor, Lettere a D. Gnoli ..., cit.).

10 V. Aganoor, Lettere a D. Gnoli ..., cit., lett. n. 139, pp. 200-202.

11 Il napoletano Francesco Cimmino (1862-1939), poeta, orientalista, traduttore di poemi indiani, tra maggio e ottobre 1900 ebbe una relazione con Vittoria. L’Aganoor lo conosceva da anni e gli aveva dedicato in passato una sua fotografia con le parole: «Al cuoco di Revigliano, Vittoria Aganoor» forse in ricordo di una gita all’isolotto alla foce del Sarno (Cfr. P. Cimmino Gibellini, F. Cimmino un poeta napoletano tra ’800 e ’900, Bologna 2004, p. 40); il che lascia ipotizzare una sua presenza a Castellammare già anni prima. Il Cimmino aveva anche letto alcune liriche di Leggenda Eterna nella serata di presentazione della raccolta a palazzo Cassano Serra.

12 P. Cimmino Gibellini, F. Cimmino ..., cit., pp. 144-145.

13 Parole che compaiono in una lettera inedita del Cimmino datata 8 luglio 1900, riportate da J. Butcher, Una leggenda eterna. Vita e poesia di V. Aganoor Pompilj, Bologna 2007, pp. 116-117.

14 V. Aganoor, Lettere a D. Gnoli ..., cit., lett. n. 118 del 7 febbraio 1900, p. 175.

15 A. Arslan, Un’amicizia tra letterate: V. Aganoor e Neera, in «Quaderni Veneti», 8, dicembre 1988, p. 55-56.

16 Guido Pompilj (1856-1910), di Perugia, fu uomo politico e letterato, deputato del Regno d’Italia dal 1886 al 1910, due volte sottosegretario di Stato; si adoperò per l’opera di bonifica del lago Trasimeno. Nel 1901 sposò Vittoria Aganoor. Le lettere scrittegli da Vittoria sono state pubblicate da Lucia Ciani (Aganoor la brezza e il vento. Corrispondenza di V. Aganoor a G. Pompilj, Bologna 2004).

17 L. Ciani, Aganoor la brezza e il vento, cit., p. 57.

18 L. Ciani, Aganoor la brezza e il vento, cit., pp. 92-93.

19 L. Ciani, Aganoor la brezza e il vento, cit., pp. 97-99. Vittoria si firma «Fadette» in alcune lettere a Guido alludendo alla protagonista de La petite Fadette di George Sand; nella lettera del 4 gennaio 1901 si trova la motivazione: «In questi giorni ho riletto “La petite Fadette” figurandomi che la leggesse anche Lei (chi sa invece se l’avrà trovata!) e parendomi cosí di esserle vicina. Che squisita cosa! Benché io la conoscessi ne sentii, rileggendola una commozione cosí fresca e nuova da stupirmene io stessa. Che delizioso idillio!» (L. Ciani, Aganoor la brezza e il vento, cit., p. 47). Ad ottobre e novembre si firmerà anche «tua tua tua schiavetta Fadette. Vittoria vinta», «la tua felicissima schiavetta Vittoria Fadette», «tua obbediente schiavetta Vittoria Fadette», «ti bacio la mano ti adoro, e sono la tua schiavetta obbediente e umile Vittoria-Fadette».

20 Il conte Almerigo da Schio (1836-1930), di Vicenza, scienziato e umanista, appassionato di alpinismo, aeronautica e meteorologia, scriveva su molte riviste scientifiche e letterarie e sui piú importanti quotidiani. Collaborò attivamente al progetto e alla realizzazione dell’Italia, la prima aeronave italiana. La sua amicizia con Vittoria fu molto salda e intensa, come si evince dalla copiosa corrispondenza epistolare pubblicata recentemente da Lucia Ciani (V. Aganoor – A. da Schio. Lettere (1886-1909), [Udine] 2005.

21 L. Ciani, V. Aganoor – A. da Schio ..., cit., lett. 246, pp. 234-235.

22 Marina Sprea, sposata al conte Baroni Semitecolo, fu compagna di collegio e amica di Giuseppina Pacini, la madre di Vittoria, e fu molto affettuosa anche con le giovani Aganoor, spesso sue ospiti nella villa Cà Rezzonico a Bassano del Grappa. Le lettere scrittele da Vittoria —che in esse la chiamava anche «mammina» o «mammetta»—, conservate nella Biblioteca Civica di Bassano del Grappa con la segnatura Epistolario in corso XII.3, sono state pubblicate nell’e-book V. Aganoor, Lettere d’amicizia a M. Sprea Baroni Semitecolo (1881-1909). Introduzione, trascrizione e note a cura di O. Vitocco Pittarello.

23 V. Aganoor, Lettere d’amicizia a M. Sprea Baroni Semitecolo..., cit., CVI. Ep. in corso, XII.3.3139.

24 V. Aganoor, Lettere a D. Gnoli..., cit., lett. n. 164, pp. 222-224. Nella data l’anno è omesso e un’annotazione a lapis non fa bene intendere se debba leggersi «1901» o «1902», ma il riscontro con le altre lettere da Castellammare a D. Gnoli e vari riferimenti in esse contenuti non lasciano dubbi che si tratti del 1901 (cfr. la nota di B. Marniti alla lett. 164 in V. Aganoor, Lettere a D. Gnoli..., cit., p. 350).

25 Il Di Giacomo, che frequentava i Mirelli e che aveva scritto il citato articolo Salotti napoletani. V. Aganoor a Napoli su «L’Illustrazione Italiana» del primo luglio 1900, apprezzava molto Vittoria e le fu amico; nell’anno della ristampa di Leggenda Eterna (1903) le dedicò anche le novelle Nella Vita (Bari 1903) e nel 1904, in segno di omaggio, rese in napoletano col titolo ’A farfalla una sua poesia in dialetto veneto di sapore popolare, La pavegia (’A farfalla sarebbe diventata qualche anno dopo la famosa canzone Palomma ’e notte). Le lettere di Vittoria e di Virginia Aganoor al Di Giacomo si trovano tra i manoscritti della Raccolta Di Giacomo presso la Biblioteca Lucchesi Palli di Napoli (già diretta dallo stesso Di Giacomo), sezione della Biblioteca Nazionale.

26 Napoli, Bibl. Naz. Vittorio Emanuele III, Sez. Lucchesi Palli, B.IV.A 448.

27 Napoli, Bibl. Naz. Vittorio Emanuele III, Sez. Lucchesi Palli, B.IV.A 448.

28 Il senatore Francesco Santamaria Nicolini, primo presidente della Corte di Cassazione, amico dei Mirelli. Insieme con Pietro Giovanni Battista Gallone, sarà testimone di nozze per Vittoria.

29 Napoli, Bibl. Naz. Vittorio Emanuele III, Sez. Lucchesi Palli, B.IV.A 446.

30 Napoli, Bibl. Naz. Vittorio Emanuele III, Sez. Lucchesi Palli, B.IV.A 445.

31 Napoli, Bibl. Naz. Vittorio Emanuele III, Sez. Lucchesi Palli, B.IV.A 449.

32 L. Ciani, V. Aganoor – A. da Schio..., cit., lett. 247, pp. 235-236.

33 V. Aganoor, Lettere a D. Gnoli ..., cit., lett. n. 165, pp. 224-226. La lettera, non datata, porta l’indicazione a penna «agosto 1901», quasi certamente dello stesso D. Gnoli; è, comunque, successiva almeno di alcuni giorni al 4 agosto (S. Domenico).

34 V. Aganoor, Lettere a D. Gnoli ..., cit., lett. n. 166, pp. 226-227. La data si ricava dal timbro postale.

35 V. Aganoor, Lettere d’amicizia a M. Sprea Baroni Semitecolo..., cit., CVII. Ep. in corso, XII.3.3183. La lettera ha una datazione incompleta in quanto non porta l’indicazione dell’anno, ma i riferimenti al soggiorno stabiese e il confronto con altre date e lettere non lasciano dubbi che debba riferirsi al 16 agosto 1901, come vuole la curatrice dell’epistolario O. Vitocco Pittarello; hanno evidentemente torto A. Arslan e P. Zambon quando affermano che la lettera è posteriore al matrimonio di Vittoria (Inediti aganooriani, in «Quaderni Veneti», 7, luglio 1988, pp. 22-23). 

36 L. Ciani, V. Aganoor – A. da Schio ..., cit., lett. 246, p. 235.

37 L. Ciani, V. Aganoor – A. da Schio ..., cit., lett. 248, pp. 236-237.

38 Napoli, Bibl. Naz. Vittorio Emanuele III, Sez. Lucchesi Palli, B.IV.A 450.

39 L. Ciani, V. Aganoor – A. da Schio ..., cit., lett. 5 di Angelica, p. 298.

40 L. Ciani, V. Aganoor – A. da Schio ..., cit., lett. 249, p. 237. La cartolina è illustrata con una veduta non di Castellammare, ma della Badia di Montecassino.

41 V. Aganoor, Lettere a D. Gnoli ..., cit., lett. n. 168, pp. 227-229.

42 In «Corriere di Napoli», XXX 275 (Giovedí 3 Ottobre 1901), p. 1. Nella prima stesura di Villa Moliterno (Quisisana) ivi pubblicata non appare la dedica «alla Principessa di Tricase», inserita soltanto nell’edizione di Nuove Liriche (1908); inoltre la prima parte del v. 17 non è finché s’accenda, come si legge nella stesura apparsa su «Regina» (1905) e nelle Nuove Liriche, bensí finché s’accende. Per il resto le differenze sono soltanto nella punteggiatura: il v. 2 certo avriano le Grazie, e accanto, i lieti diventerà nel 1908 certo avriano le Grazie, e, accanto, i lieti; il v. 9 libero a piè della ridente china diventerà nel 1908 libero, a pie’ della ridente china, (attraverso la variante su «Regina» libero, a piè della ridente china,); la seconda parte del v. 11 Ali, di candide (ma forse qui la virgola è un refuso) diventerà nel 1905 e nel 1908 Ali di candide; il v. 20 alla gioia fuggente e l’aria intorno diventerà nel 1905 e nel 1908 alla gioia fuggente, e l’aria intorno.

43 F. Martini, Lettere [1860-1928], Milano 1934, p. 436.

44 V. Aganoor, è nel mio sogno..., in Leggenda Eterna, Milano 1900, p. 96.

45 V. Aganoor, Poesie complete..., III ed., cit., pp. L-LI.

46 V. Aganoor, Lettere a D. Gnoli ..., cit., lett. n. 28, pp. 49-50.

47 V. Aganoor, Lettere a D. Gnoli ..., cit., lett. n. 139, p. 201.

48 B. Croce, La letteratura della nuova Italia, II, cit., p. 349.

49 V. Aganoor, Lettere d’amicizia a M. Sprea Baroni Semitecolo..., cit., CIX. Ep. in corso, XII. 3. 3141.

50 A. Arslan, Un’amicizia tra letterate..., cit., p. 60.

51 G. Carducci, Lettere, XXI, Bologna 1960, p. 44.

52 Cosí, tra le numerosissime voci della cultura che vollero commemorarla, si espresse Arturo Graf (in «La Favilla» di Perugia, fasc. in onore di V. Aganoor, luglio-agosto 1910).

53 Naples, painted by A. Fitzgerald, described by S. Fitzgerald, London 1904, p. 90, ill. n. 27 (View taken from the Grounds of the Villa Antonietta, Quisisana / Now known as the Hotel du Parc). Si legge nella prefazione: Many of gardens painted in this book are also reminiscent of the kind hospitality and courtesy of their proprietors (p. V).

54 Da notare che la poesia fu riportata nella versione apparsa nel 1905 su «Regina», ma con il refuso spoglia al posto di sfoglia al v. 24.

55 Oggi appartiene alla famiglia Petrella di Castellammare.

 

 

(Da "Cultura & Società". Rivista dell'Associazione "Cultura & Territorio", Anno I - N. 1 - 2007, pp. 53-72)

 

Questo articolo è stato ora accresciuto, aggiornato, corretto, corredato di appendici e di bibliografia:

G. CENTONZE, Vittoria Aganoor a Castellammare di Stabia, Castellammare, Bibliotheca Stabiana Altera, 2011

ISBN: 9788891004710

 

 

(Fine)

 

 

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