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MATTEO PALUMBO

 

I misteri di Stabia

Prefazione alla ristampa di

Generosa, ossia Stabia al secolo nono

di Matteo M. Rispoli

(2007)



 

 

Il lettore immagini una vicenda a tinte accese: un racconto soprattutto di edificazione religiosa, condito di amori negati, animato da rapimenti e da agguati, mosso da menzogne spudorate e da un incrollabile attaccamento alle virtú. A questo groviglio di sentimenti e di antagonismi, di attentati alla lealtà e di bontà esemplare, aggiunga un’eloquente oratoria morale, che accompagna e commenta lo sviluppo della trama. Cosí, aggirandosi tra una fede granitica e istinti di vendetta, muovendosi tra anime belle e creature maligne, chi legge si ritrova nel mezzo di un ennesimo scontro tra le forze del Bene e le insidie permanenti del Male. Tuttavia questo conflitto scontato, presente in qualunque feuilleton, acquista un interesse supplementare per i lettori di oggi. Il conflitto tra i Buoni e i Cattivi, infatti, matura in una geografia ben nota, rivisitata nella luce di un’epoca esattamente individuata. Lo scenario in cui i fatti avvengono è sorprendentemente la Stabia del nono secolo: ripercorsa in tutte le sue località, negli spazi, nei toponimi, nei paesaggi e negli ambienti naturali che, allora come oggi, la identificano. A questa prima ragione di curiosità si aggiunge subito un ulteriore elemento, che raddoppia l’interesse e solletica l’attenzione. Il protagonista reale della vicenda, il motore principale intorno a cui ruota l’intera azione, è nientemeno che don Catello Coppola: cioè, se vogliamo chiamare questo eroe con la qualifica che lo ha reso famoso, San Catello.

La somma di tutti gli elementi fin qui indicati, il loro combinarsi in un intreccio movimentato, che procede attraverso colpi di scena ripetuti, fino a quando il destino di tutti i personaggi, uno per uno, arrivi a compimento, può aiutare a fornire l’idea di quale romanzo sia Generosa ossia Stabia al secolo nono, racconto del sacerdote D. Matteo M. Rispoli, stampato a Castellammare nel 1859. Il testo costituisce un esempio della specie mai del tutto estinta del romanzo storico: un genere che può conoscere periodiche oscillazioni di successo o di rigetto, ma che mantiene il fascino di un racconto doppio, in cui si mescolano fatti veri e invenzione, realtà e favole. Non è forse irrilevante che l’autore di Generosa concluda il proprio lavoro, indicando la via che egli ha seguito. L’opera arrivata al traguardo si presenta ai suoi stessi occhi come il risultato di uno sforzo necessario, che salvi quanto è sopravvissuto nella memoria di una intera comunità: con l’inevitabile alone leggendario e con le mitologie che abbelliscono le notizie passate. Cosí, esaurito il compito, don Matteo Rispoli lascia perfino ai posteri un mandato da eseguire. Dovranno essere loro a integrare quello che egli ha presentato con i modi del romanzo e a trasformare un colorito racconto nella forma severa di una «completa istoria». Proprio in relazione alla vexata quaestio dell’identità di San Catello, egli chiarisce: « [...] finora non anvi che congetture e monche tradizioni popolari, raccozzando io le quali affinché non si fossero disperse, né osando di spacciarle tutte come probabili ho creduto formarne il presente racconto. I miei voti sono che i miei cittadini mossi e spinti da questo mio primo passo si dieno piú accuratamente a rintracciarne notizie, e con autentici documenti ne compiano una completa istoria, ritenendo questo mio picciol lavoro, solamente per quella parte che riguarda le notizie Stabiane e piú la Religione, e la morale, solo scopo per cui io scrissi». Si tratta, dunque, di un’opera che ha due facce: una avventurosa, immaginativa, propriamente romanzesca, che riguarda la vita favolosa di San Catello; l’altra, invece, piú precisamente documentaria e volontariamente edificante, che comprende «le notizie stabiane», la religione e la morale.

Generosa, nel suo impianto specificamente narrativo, richiama temi frequenti della tradizione letteraria, adattandoli al nuovo contesto. Un semplicissimo riepilogo della trama permette di riconoscere situazioni chiaramente topiche, utilizzate nella loro struttura piú elementare. Un nobile giovane, di nome Claudio, si invaghisce per capriccio di una fanciulla, la Generosa da cui deriva il titolo. Nonostante i tanti espedienti che egli adopera, fino ad arrivare al rapimento e al ricatto, non riesce a piegare la resistenza della giovane donna, giacché ella subisce l’influsso irresistibile di don Catello Coppola. Grazie a lui la fanciulla sceglie una strada lontana dalla mondanità e decide di votare la sua esistenza a Dio. Il risentimento di Claudio coinvolge a questo punto il sacerdote, identificato come il principale nemico da sconfiggere. I colpi di scena diventano sempre piú incalzanti. Il puntiglio spinge a ricorrere a ogni arma (dalla menzogna all’arresto) che getti discredito su don Catello e consenta di realizzare il capriccio amoroso. Naturalmente qualunque tentativo sarà inutile e, anzi, in una generale pacificazione, lo stesso Claudio riconoscerà la santità e il magistero del suo antico avversario, definitivamente vittorioso contro tutte le potenze nemiche. Come si capisce, siamo in un universo semplificato e manicheo, in cui i confini tra Bene e Male sono nettamente segnati. Una serie di archetipi narrativi orienta la successione degli eventi: le violenze patite dalla Fanciulla Perseguitata, la Virtú dell’Eroe Senza Paura, la Malvagità, ma anche la Conversione del Cattivo. Come si vede, siamo a metà strada tra Eugène Sue e Alessandro Manzoni. Anzi, proprio dall’autore dei Promessi sposi don Matteo Rispoli ripiglia sostanziosi atteggiamenti narrativi: fra i piú evidenti il commento in prima persona, per mezzo del quale interviene nel racconto, offrendo insegnamenti, sottolineando i valori da seguire o emettendo giudizi su quello che accade. Allo stesso modo, da Manzoni egli desume l’attenzione al pentimento, che cambia radicalmente il contenuto dell’esistenza individuale. Questa svolta è tanto piú efficace e clamorosa quanto meno prevedibile. È il caso, tra tanti, di Claudio, un don Rodrigo ridipinto, alla fine dei suoi errori, come un nuovo Innominato, purgato del suo passato e divenuto specchio di moralità: «Era una scena commovente il vedere quest’uomo un dí orgoglioso e tanto temuto, ora umile e in poveri arnesi esercitarsi in tutti gli uffizi di carità, specialmente verso quelle famiglie alle quali aveva cagionato del male». D’altra parte, la stessa vita di San Catello inizia all’insegna di una rivoluzione spirituale, che trasforma il suo destino in una fedeltà incondizionata alla volontà divina: «“Faccia Iddio di me ciò che vuole; son pronto a tutto purché si compia il suo volere”. E qui le lagrime ed il singhiozzo interruppe il discorso del buon giovane, e mossero il parroco ad abbracciarlo e stringerselo teneramente al seno».

Dal mondo manzoniano l’autore di Generosa non deriva solo il clima religioso, che egli traduce in una tranquilla e sicura fiducia nei disegni della Provvidenza e nella indiscutibile certezza del loro realizzarsi. Da Manzoni deriva anche l’attenzione per gli umili, per i semplici, che oppongono, alla maniera di don Abbondio, un massiccio buon senso quotidiano alle misure troppo sublimi dei Santi che incontrano. Da questa matrice realistica dipendono anche ricercati effetti comici, legati, per esempio, al personaggio di Bibiana, reincarnazione fedele di Perpetua, che, «sotto suggello di confessione», può trasmettere una notizia riservata a tutti coloro che incontra o che, ai propositi di perdono di San Catello, sostituisce vie molto piú spicce e nette: «io gli darei un capestro alla gola ed una mannaia sul collo, e voi parlate di lume e conversione?». Un simile atteggiamento è anche quello di un altro subalterno, Anselmo, che manifesta con i suoi dubbi taciuti la difficoltà di tener dietro alle decisioni del Santo: «son curiosi questi santi, vorrebbero far crepare in corpo tutta l’umanità e fare ingalluzzire i birbanti!»

Il progetto dell’autore di Generosa ossia Stabia al secolo nono non si esaurisce, tuttavia, come si è già anticipato, nella celebrazione delle virtú cristiane, quali sono predicate da San Catello o da sant’Antonino, o dalla stessa Generosa. Resta vivo in lui il desiderio di fornire, attraverso le peripezie del racconto, le «notizie stabiane», lasciando che esse si fondano con la sequenza degli avvenimenti. Il movimento dei personaggi conduce a toccare luoghi svariati della città e per ognuno di essi l’autore prepara una precisissima scheda, che colleghi quel particolare ambiente all’esperienza visiva e all’informazione dei lettori contemporanei. Il testo illustra cosí l’identità storica e geografica della città nel cui seno si compiono «sí nefandi misfatti» e ne disegna talvolta perfino l’evoluzione, dal secolo nono ai giorni in cui l’opera nasce. A dare una intelaiatura ordinata a questo scopo, don Matteo Rispoli designa ciascun capitolo, tranne il primo (Il secolo nono) e l’ultimo (Conclusioni), con un nome di luogo: da Quisisana a Grotta di San Biagio, da Pozzano a Varano, da Lo Scoglio d’Orlando a Portocarello, da La Sanità a La Libera, a L’Annunziatella e, infine, a Rovigliano. Dentro il romanzo prende forma, cosí, una mappa analitica della città, accompagnata da un repertorio di notizie che colmano l’intervallo tra il nono secolo e il secolo XIX. Per incrementi progressivi si sviluppa una dettagliata guida, che descrive le zone volta per volta messe in rilievo. Si legga quello che è detto a proposito di Quisisana: «Questo nome fu dato a quel sito da Carlo II d’Angiò, il quale avendo prescelto la città di Stabia fra tutte le altre del suo regno a luogo di sua delizia, vi fabbricò una casina e per la salubrità del sito chiamò Quisisana. Il re Roberto detto il sapiente l’ampliò e l’abbellí. Qui Ladislao si ricuperò sul finir del secolo XIV per evitare una fiera peste che terribilmente affliggeva il regno tutto. In simile circostanza la regina Giovanna II praticò lo stesso, e fu sottratta dal comune flagello mercé la salubrità del clima. I Monarchi tutti han prescelto per loro delizia Quisisana ne’ mesi estivi, ma Francesco I, di santa memoria, mostrò segnatamente il suo trasporto per questo sito, ingrandendo la casina, il boschetto ed i viali, e fino a pochi anni dietro dal primo cancello fino al piccolo atrio innanzi al portone miravasi un magnifico grottone alto e spazioso, coverto di viti, rose e fiori rampicanti, che poi fu diroccato perché corroso dal tempo, ed invece fu formato quell’ameno ed aprico viale che ora mirasi abbellito per ordine del regnante Monarca l’Augusto Ferdinando II». Questo frammento è solo un campione tra molti altri di analoga natura. Tali descrizioni in genere aprono i capitoli e danno evidenza ai diversi aspetti di cui è ancora composta Castellammare di Stabia. Chi legge, soprattutto quando sono trascorsi altri centocinquanta anni dalla composizione di Generosa, ha l’impressione di sfogliare un album di vecchie foto, che sono ingiallite dal tempo, ma che pure permettono di cogliere la somiglianza con il volto recente delle cose: almeno per misurare quello che è cambiato e che cosa è rimasto di quel mondo di ieri. Nel riattraversare con la mente quegli antichi paesaggi, forse saremo costretti perfino a ripensare con qualche brivido alla deprecazione di Sant’Antonino, nel romanzo alter ego di San Catello: «città infelice perdesti il piú caro tesoro che avevi fra le tue mura; rimanesti orfana, senza padre... Le tue vie si sono spogliate di quella gioia e di quel decoro, onde brillavano bellamente, pochi giorni sono! Stabia infelice».

Si può sempre aggiungere, a parziale consolazione: «cosí va il mondo»; o, meglio, «cosí andava nel secolo nono».

 

 

 

 

(Da: M. M. RISPOLI, Generosa, ossia Stabia al secolo nono, Castellammare di Stabia, Rotary Club di Castellammare di Stabia – N. Longobardi Editore, 2007, pp. XI-XVII)

(Fine)

 

 STABIANA (Iosephi Centonze Paginae)

 

 

La Premessa di Giuseppe Centonze a «Generosa»

La Spigolatura di Giuseppe Centonze su «Generosa» di M. Rispoli

 

 

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