Stabiana (Iosephi Centonze Paginae)  ~  Homepage  Letteratura e Territorio

 

GIUSEPPE CENTONZE

Castellammare di Stabia
nella letteratura italiana del secondo Ottocento

(1997)

 

 

Castellammare di Stabia visse nella seconda metà dell'Ottocento uno dei suoi periodi più felici.

Fin dal secolo precedente apprezzata da scrittori e viaggiatori italiani e stranieri, raccoglieva ora i frutti dell'attenzione prolungata e particolare che i Borbone avevano avuto nei suoi confronti per avervi promosso gli scavi, avervi costruito l'arsenale, aver migliorato porto e strutture e strade, avervi costruito la prima strada di ferro e la strada che la congiungeva a Sorrento.

Luogo residenziale prima di aristocratici e diplomatici legati alla corte ed al re che qui aveva una sua residenza, successivamente anche dell'agiata borghesia e dei parvenus, ricca di bellezze e risorse naturali e di attrattive, per questo attirò ancora l'attenzione di viaggiatori, di pittori e di scrittori.

L'unità d'Italia per certi aspetti dovette segnare profondamente la storia di una cittadina così legata ai Borbone, nel senso che la città non poté mantenere nel tempo l'attenzione che prima i regnanti napoletani le avevano prestato. Ma prima che i suoi problemi emergeranno e si manifesteranno, per alcuni decenni essa si avvalse dell'onda della felice e prospera situazione di prima.

Pertanto continuerà l'interesse di artisti e scrittori, anche oltre il secolo.

 

de Bourcard. -

Limitando il nostro discorso alla presenza di Castellammare nella letteratura italiana della seconda metà dell'Ottocento, cominciamo con il de Bourcard, che della città parlò nel primo volume degli Usi e costumi di Napoli e Contorni descritti e dipinti, uscito nel 1857.

Il de Bourcard si dilungò su alcuni aspetti di Castellammare e dei suoi costumi, non trascurando le bellezze naturali. Parlò anche della cura delle acque:

Pel 'villeggiante' di Castellammare andar alle acque il mattino è una occupazione, un affare, un obbligo o, direi quasi, un dovere. La sera al caffè vi sentirete dimandare da tutti: "Domani andrete a prendere le acque?" "Non mancate domani alle acque." "Ci vedremo alle acque." E, vogliate o non vogliate, abbiate o pur no il desiderio di andarvi, dovrete levarvi dal letto di buonissima ora per non mancare alle acque.

Eccoci dunque alle acque.

Qual varietà, qual movimento in quel recinto che diletta ed affligge, che offre uno spettacolo misto di allegria e di tristezza! Vecchi e giovani, uomini e donne, belle e brutte, ricchi e poveri, nobili e plebei, ammalati e sani, tutti vanno alle acque. Chiunque non è Castellonico deve pagare la sua entrata nello stabilimento, beva o pur no, con due grana.

Oh, quanti 'acquaiuoli' [Nome dato da' Castellonici a que' che vengono a fare la cura delle acque]!!... Che brutte figure!!... Che visi pallidi!... Che fisionomie sparute!...

Vedi là quella giovanetta?... Ella è tutta intenta a curare sua madre, la quale, seduta sopra un banco di pietra, debole, pallida e stecchita, tenta riacquistare la sanità bevendo la tonica 'acqua ferrata del pozzillo'.

Guarda quell'uomo dal ventre gonfio che passeggia, con un grosso bicchiere pieno della catartita e dioretica 'acqua media' in una mano, e delle ciambellette nell'altra. Egli spera così far scemare l'idropica sua 'epa-croia'; e, diventando snello e mingherlino, rendersi più gradito agli occhi della sua Dulcinea.

Ma chi è quel giovane biondo da' mustacchi volti all'insù, che tutto si dondola e si pavoneggia presso quel gruppo di fanciulle sedute all'ombra degli alberi? E' forse un ammalato?... Oibò!... Egli non manca mai di andare alle acque il mattino, non perché il suo fisico ne senta il bisogno, ma perché là conviene una quantità di belle giovanette, le quali sarebbero desolate di non trovarvelo, per ridere alle costui facezie ai suoi motti arguti o forse alle sue spalle. Egli è uno di quegli odierni 'lions' che corrono dovunque è molta gente, più per farsi osservare ed ammirare, che per ammirare ed osservare!... [...]

Oltre alle acque che sono nello stabilimento vi è la stomatica e dioretica 'acqua acetosella', che è acidetta anzi che no; e la terribile 'acqua del muraglione', della quale vi sono de' pazzi che ne bevono ne bevono ne bevono, fino a che... Basta!... sul merito di ciascuna di queste acque potrebbesi dire con Dulcamara, che

muove i paralitici,

Spedisce gli apopletici,

Gli asmatici, gli asfitici,

Gl'isterici, i diabetici;

Guarisce timpanitidi,

E scrofole e rachitidi,

E fin il mal di fegato

Che in moda diventò.

Scrisse poi una pagina interessantissima sui ciucciari, sulle loro abitudini e sulla loro faticosa esistenza, che in parte riporto:

Il ciucciaro, dall'alba fino a notte, non fa che accompagnare sempre il suo somarello, salendo e scendendo monti, girandolando per Castellammare o per quei paeselli circostanti, covrendosi di polvere, bruciandosi al sole, bagnandosi alla pioggia, a seconda della volontà de' passaggieri; e sta sempre pronto a correre come se allora uscisse di casa, altrimenti verrebbe ingiuriato, maltrattato, e forse forse gli toccherebbe pure qualche bastonata. Ma non è questo mai il motivo che spinge ad alzare il bastone contro di lui, perché, essendo siffatto modo di vivere divenuto una consuetudine, egli corre anche più del suo ciuccio.

Quando poi si ritira trafelato, pieno di polvere e grondante sudore, trova nella stalla la sua camera da letto, ove la paglia fa le veci di un soffice materasso; e gittato su la stessa, riposa per tre o quattro ore le stanche membra dalla durate fatiche del giorno.

Pagine come questa fanno capire che l'opera del de Bourcard non fu solo una guida per gli stranieri. Nel momento in cui si trovarono a leggere nella realtà di Napoli e dei suoi dintorni, ad osservare i costumi, a descrivere modi di vivere e condizioni sociali gli estensori degli articoli, così come gli illustratori e gli incisori delle tavole, fornirono un'indagine sociologica rientrante nei canoni della più moderna letteratura, ispirata al naturalismo ed al positivismo.

Va qui colta l'occasione per evidenziare che guide per viaggiatori e impressioni di viaggio non costituiscono letteratura di seconda qualità o di minore importanza, anche se è un po' diffusa questa opinione, specialmente in Italia. E' semmai la penna e la mano dello scrittore a determinarne la qualità; ad esempio, nessuno si sognerebbe di definire opera minore il Viaggio in Italia di Goethe.

 

Gallotti. -

La letteratura a Napoli alle soglie dell'unità non fu solo questa. Tra l'altro continuava ad esistere e a prosperare una letteratura romantica, che ripercorreva le forme dei romanzi storici ed epistolari e che identificava a volte nelle bellezze di Napoli e contorni il luogo ideale per gli innamorati della natura.

Va collocato qui il romanzo epistolare Monte Coppola, che prendeva il titolo dall'allora celebre collina stabiese, e che fu scritto intorno al 1859 e pubblicato nel 1868 dal barone Giuseppe Gallotti.

Secondo l'invenzione dell'autore napoletano, durante l'estate del 1858, nelle ore in cui era meno frequentato da villeggianti e viaggiatori, sul Monte Coppola si incontravano il duca Caracciolo e Eduardo; il primo già con molti anni e intense non felici esperienze sulle spalle, il secondo più giovane ma malinconico e affetto da una malattia che lo avrebbe portato prestissimo alla morte, entrambi amanti della solitudine e del silenzio. In questa cornice ed in questa situazione, che costituivano il pretesto letterario per la propalazione dell'epistolario di Eduardo lasciato in eredità al duca e pervenuto nelle mani dell'autore, trovavano naturale posto mode, abitudini e curiosità riguardanti la villeggiatura a Castellammare:

A quei dì Castellammare era popolatissima di gente di alto grado, e molto alla moda, la quale era convenuta colà per passarvi piacevolmente i mesi estivi. E per le amenissime ed ombrose vie che menano a Monte Coppola spesso incontravi come raccolti insieme in varii drappelli uomini e donne, napoletani e stranieri, che cavalcando asini le percorreano. Il Duca avea appigionato un quartiere in quella contrada in Castellammare che vien denominata la Montagna; avea preso a nolo un asino, ed un asinaio; il mattino cavalcava nel bosco, e quando poi il sole era presso il suo tramontare, spesso in una carrozza da nolo percorreva la bella via che da Castellammare mena a Vico e Sorrento; spesso il mattino entrato nel bosco si fermava alle Fontane, al Belvedere della Regina, o in altri luoghi di quel bosco, donde meglio si può contemplare

Quel bello eterno ch'educò natura

che lo straniero c'invidia; e di cui, se fosse dato all'uomo di poterci torre quel bel dono di Dio, saremmo già stati da gran tempo privi; ed in quei luoghi si rimaneva per lunghe ore con un libro, o con un giornale in mano.

 

Mastriani. -

La Castellammare del Gallotti è la cittadina alla moda molto frequentata da forestieri appartenenti anche alle classi agiate, come si è visto, e che tuttavia offriva la possibilità di godere della natura e della solitudine, se pure con qualche difficoltà in certi luoghi e in certe ore del giorno.

L'opera del Gallotti fu pubblicata nel 1868, come si è detto, ad unità raggiunta. Nel frattempo si diffondeva ancor di più il naturalismo ed a Napoli scriveva già da tempo Mastriani, il suo esponente più rappresentativo, interessato dalle situazioni più degradanti che l'ex capitale poteva offrire all'osservatore, ma non per compiacimento letterario. Il 'socialista' Mastriani, come fu definito non so se giustamente, credeva nella dignità dell'uomo, nel progresso politico e sociale, nei valori della libertà e della solidarietà; prendeva spunto da fatti e personaggi veri per indicare una strada e, da questo punto di vista, avevano una funzione importante i personaggi positivi che potessero rappresentare l'esempio per tutti gli altri. Mastriani, pertanto, non guarda a Castellammare come al locus amoenus, ma come al luogo in cui operano alcuni personaggi delle sue storie.

Il primo personaggio compare ne Le ombre, pubblicate nello stesso 1868.

Le ombre è ancora un'opera sulla miseria reale e morale che, al momento della raggiunta unità italiana, costringeva al vizio e alla perdizione i più sventurati, in particolare le donne: un "gran dramma, che si svolge ogni dì sotto gli occhi di una società burlona e indifferente", nonostante la presenza di personaggi che si prodigavano per i più deboli, come Andrea Orsini, vescovo di Castellammare, del quale ripropongo parzialmente il ritratto:

Il vescovo Andrea Orsini era il prete secondo il Vangelo, secondo Cristo. Egli era il padre della sua diocesi, su la quale spandeva a larga mano i tesori della sua beneficenza. Egli era ricco non per sé, ma pe' poveri. [...].

Monsignor Orsini non avea né cocchi, né cavalli: né servi in livrea, né cuochi, né salotti ammobigliati con lusso. Due stanze rustiche e disadorne di mobili formavano il suo appartamento. L'uscio della sua casa era sempre aperto, affinché tutti potessero avere libero accesso sotto il suo tetto per esporgli i loro bisogni e i loro reclami. Egli condannava il lusso della corte di Roma: diceva il potere temporale de' papi contrario allo spirito del cristianesimo e causa di scismi. Nelle faccende dello stato non si mischiava; ed aveva sempre una parola di biasimo per que' ministri del culto che turbavano le coscienze con i scrupoli politici. Dimise un parroco, che non avea voluto apprestare gli ultimi conforti della religione a un moribondo, sol perché questi era stato nel novero de' valorosi campioni della indipendenza italiana; e tolse la confessione ad un sacerdote che, abusando del suo divino ministero, insinuava a' suoi penitenti massime sovversive contro il governo surto dal voto nazionale.

Poiché Mastriani guardava spesso a personaggi veri per le sue storie, non so se in questo santo vescovo bisogna vedere il vescovo Petagna, che da una parte si prodigò in quegli anni per i deboli e per la chiesa, ma che si trovò d'altra parte impegolato in una vicenda, a causa di un prete antiunitario, forse in maniera contraria rispetto al comportamento dell'Orsini del nostro autore.

Ne I lazzari, scritti probabilmente dal Mastriani alla fine del secolo, e pubblicati postumi, compare un altro personaggio, un popolano rivoluzionario che odia i tiranni e i prepotenti ed è desideroso di cambiare il mondo.

Con quest'opera Mastriani ripropone da una particolare angolatura la storia napoletana dal 1799 al 1860, vista come la partecipazione dei popolani ai principali avvenimenti (il 1799, il 1821, il 1848, il 1860), passando progressivamente dalla originaria ignoranza e superstizione di 'lazzari' alla maturità 'operaia' che li portò ad apprezzare la libertà e l'onesto lavoro.

Come esemplare viene in essa inserita la lunga e avventurosa storia del pescatore stabiese Giacomo Palombo, detto Occhio di bufalo, che si trova coinvolto in alcune vicende della politica e della rivoluzione a Napoli. L'impulso per queste straordinarie esperienze gli fu dato dall'aver assistito, sulla costa tra Castellammare e Vico, precisamente "tra il Capo Orlando e que' tre scogli addimandati li tre fratelli", ad una poco chiara situazione e dall'aver riconosciuto i personaggi in essa coinvolti: il ministro Acton e Lady Hamilton.

Anche in questo caso non sappiamo fino a che punto il personaggio possa essere vero; ad ogni modo sono inseriti nella storia dei personaggi storici che veramente frequentarono queste contrade.

 

Fucini. -

Ma torniamo agli anni 70 per incontrare due scrittori viaggiatori, raccoglitori di impressioni e ricordi ricavati nell'Italia del sud, una terra a loro estranea, nel momento in cui emergevano prepotenti i problemi di questa parte d'Italia: Fucini con Napoli ad occhio nudo del 1877 e Cesira Pozzolini Siciliani con Napoli e dintorni uscito completo nel 1880, il primo toscano e in contatto con gli ambienti positivisti e con i meridionalisti come Giustino Fortunato, la seconda bolognese, oggi meno nota, ma allora apprezzata negli ambienti napoletani, particolarmente dal Settembrini.

La Castellammare di Fucini è "un pezzo di Napoli portato in quella cala e nulla più", inserito tuttavia in una cornice meravigliosa: "ma le montagne che le stanno a ridosso e il panorama del Golfo che si gode di là, è stupendo", come 'stupendo' è il "tratto di strada incassato fra dirupate scogliere", che dalla marina di Castellammare conduce a Sorrento; è "la patria dei più arditi navigatori di queste coste, del superbo Duilio e dei più abili costruttori navali d'Italia", ma appena arrivati si è "assaltati da uno sciame di ciceroni, ciucai, vetturini, accattoni et coetera animalia", che stordiscono e confondono fino a far temere che sia stato rubato il portafogli dalle mani, e per le strade si è assaltati da un 'nausante' "nuvolo dei parassiti ambulanti che ci ronzavano d'intorno, pigolando vigliaccamente l'eterno soldo". Una Castellammare problematica, come si vede da queste citazioni, bella e avvilente, nella quale convergono i due interessi del Fucini, quello naturalistico per l'ambiente umano e quello romanticheggiante per il paesaggio, e si intrecciano le due anime dell'opera sua, quella che guarda alla "Napoli dolorosa, la Napoli del popolo oppresso dalla miseria" e quella che guarda alla "incomparabile bellezza del golfo".

Ripropongo la movimentata, indimenticabile scena dell'arrivo:

Arrivammo a Castellammare, la patria dei più arditi navigatori di queste coste, del superbo 'Duilio' e dei più abili costruttori navali d'Italia. E' questa città un pezzo di Napoli portato in quella cala e nulla più, ma le montagne che le stanno a ridosso e il panorama del Golfo che si gode di là, è stupendo. Conservo uno spiacevole ricordo di quell'arrivo. Appena che fummo scesi dal treno ed assaltati da uno sciame di ciceroni, ciucai, vetturini, accattoni 'et coetera animalia', m'accorsi di non aver più addosso il portafogli. Non volevo mettere gli amici a parte del mio disturbo, ma non avendo potuto nasconder loro l'imbarazzo nel quale mi trovavo e l'alterazione della mia faccia, mi domandarono con premura che cosa avessi. - Mi hanno rubato il portafogli! - Ma come! ma dove? ma quando? - Ora, ora nel momento; due minuti fa l'ho tirato fuori per dare qualche cosa a quel vecchio... - E ci avevi molto? - Ci avevo tutto. - Ma ti sei cercato bene addosso? - Ho frugato da per tutto e non l'ho più. Guardate: qui, niente; qua nemmeno... non l'ho, non l'ho più assolutamente. Addio, amici; proseguite pure per Sorrento; io torno indietro; divertitevi e compatitemi se... - Uno scoppio di risa sonore interruppe le mie parole d'addio. Domandai alquanto indispettito il perché di quel riso e mi risposero con una risata più grossa della prima. E perché quelle risa così crudelmente inopportune? Il portafogli che cercavo con tanto affanno l'avevo in mano.

Dileguata la breve ma rabbiosa tempesta, mi scusai ad alta voce con gli amici d'aver loro procurato quel disturbo, e nell'animo mio chiesi scusa anche ai ciucai, vetturini, ciceroni e accattoni castellammaresi, dei gravi dubbi che per dieci minuti avevo avuto su la loro onestà, e proseguii il cammino lungo la marina tutto umiliato, parendomi di scorgere in ogni occhio languido che mi fissava, il dolce rimprovero di Cristo a Pietro: 'amice, quare dubitasti?' Per questa volta avevo avuto torto.

 

Pozzolini Siciliani. -

Cesira Pozzolini Siciliani, in Napoli e dintorni ("impressioni e ricordi" apparsi prima del 1879 in giornali e riviste quali la Nuova Antologia e l'Illustrazione italiana e ripubblicati a Napoli da Morano nel 1880), specificamente nel lungo capitolo Una settimana a Castellammare, fu molto precisa nella descrizione di luoghi, ambienti e consuetudini che ella visitava e osservava guidata dal purista Ippolito Amicarelli.

La Pozzolini annota anch'essa degli aspetti non felici della città:

La strada della marina è finita, e si entra nel cuore della città, nel vecchio Castellammare, un po' opprimente, chiuso, angusto e anche sudicio come un angolo di Napoli.

Ancora, a proposito delle terme:

Che cosa ci manca ? Ciò che non manca a nessuno stabilimento balneario di Vichy, di Baden-Baden, di Aix-les-Bains, di Ragaz, di Wildbad. Qui manca l'eleganza, e talora fin anco la nettezza e la decenza.

Ma forse il suo occhio è più benevolo e disposto a comprendere e a scusare se, alla vista di povere venditrici, ella afferma: "La povera gente qui com' è discreta!".

Ma in generale ella è portata a notare il bello e il caratteristico, che per lei hanno comunque delle note di piacevolezza. Così quando descrive il delizioso quadretto dell'arrivo dei viaggiatori e la caotica e chiassosa piazza della stazione, le gite sul Faito o a Lettere e Gragnano, la passeggiata di sera lungo la marina con le abitudini dei cittadini e dei villeggianti, il santuario di Pozzano con miracoli, feste e credenze religiose, lo stabilimento dei bagni e le acque minerali, la villa reale di Quisisana; così quando descrive il tramonto del sole a Castellammare. Sa essere minuziosa nelle descrizioni, è attenta al particolare, alle piccole curiosità, alle note di colore, al bello della natura. In realtà è anche un po' innamorata del luogo, se si chiede: "Dov'è nella stagione de' bagni soggiorno più delizioso di questo?".

Appassionata è la sua descrizione del tramonto stabiese:

L'ora del giorno che muore qui non è malinconica, non infonde nell'anima certa arcana mestizia, come ti accade provare [...]. Il tramonto qui è un'altra cosa, e a ritrarlo non varrebbe fantasia di poeti nè pennello di artisti.

Il cielo con la sua limpidezza profonda, il mare azzurro, fosforescente, le nuvolette che si tingono delle più soavi sfumature, le isole che sembrano galleggiar come sirene

A mezzo il petto vagamente ignude

i monti bruni e coperti di boscaglie sempre verdi, i paeselli candidi, il Gauro selvoso e maestoso di qua, il nudo e altero Vesuvio di là.... tutto si veste di colori smaglianti, tutto si tinge del rosso più vivo, i pinnacoli delle chiese, delle ville, delle città brillano di luce adamantina, e tutto sembra una festa della natura.

Se l'orizzonte è puro, se il mare è tranquillo, se il cielo è sereno, I' immenso disco solare, rosso come fiamma viva, spogliato dei suoi splendori abbarbaglianti si tuffa lento nel mare imporporando l'occidentale volta celeste; mentre le coste bizzarre e le vaghe isole dell'arcipelago partenopeo ora paion trasparenti, e ora, pigliando forma più spiccata, si presentano brune come ricoperte d'una superficie di solido granito. Se poi s'adagia nel suo letto di porpora circonfuso di nuvolette, un vivissimo color di croco si diffonde a sprazzi, e tutto rosseggia, tutto par che s'infiammi, e un immenso incendio par che si susciti all'estremo orizzonte occidentale, e lanci fiamme divoratrici per gli spazi sconfinati, mentre una striscia di fuoco, serpeggiando bizzarra sulle acque, si dilata ed effonde per I'aperto mare.

Che spettacolo! Non lo direste un incendio, un incendio spaventevole, un incendio provocato da un terribile sconvolgimento delle forze di natura?

Precisa e divertita è inoltre la descrizione del passeggio serale:

Annotta.... Ecco la luna pallida, silenziosa, spunta là dietro l'alta cima del Gauro. Le carrozze a poco a poco scompaiono, i carrozzini si dileguano, i rumori cessano, e lungo la strada del passeggio non s'ode che il monotono gemito dell'onda che batte la marina. Tutta la gente s'affolla nel grazioso square sul piazzale Principe Umberto, e l'aere profumato risuona di dolci armonie. Sotto i tendoni del Caffè d'Europa non c'è più posto: le panchine tutte occupate, le seggiole tutte prese. Quanta gente! che gran richiamo la musica! Ma rinunziamo al brillante concerto sulla Norma, e andiamo avanti.

La folla qui c'impedisce il passo....

Che cosa c'è?

Su quattro pali hanno rizzato una piccola baracca, un casotto di burattini, un frammento infinitesimo dei grandiosi anfiteatri della Grecia e del Lazio, un teatrino industrioso che un uomo solo trasporta di qua e di là caricandoselo sulle spalle, con tutte le sue decorazioni e i suoi attori, con tutti gli annessi e connessi. Pulcinella anche qui, Pulcinella con la sua voce squarciata e nasale s'abbaruffa con Colombina, e i due illustri personaggi fermano la gente, e la gente è tutta lì a bocca aperta a sentirli. I papà pigliano a cavalluccio sulle spalle i figliuoli perchè veggano, perchè si divertano: le donne si spingono innanzi; i preti guardano attenti, e tutti ridono alle lepidezze di Pulcinella...

Andiamo avanti....

Che cos' è questo fischio assordante, sgradevole, continuo?

è la macchinetta del teatro meccanico-prismatico, quel baraccone lì rizzato dirimpetto ai Bagnetti.

Con pochi soldi c'è da divertirsi, e tutta Castellammare rimane attonita innanzi a quei piccoli automi.

Avanti ancora. La strada della marina è tutta costeggiata da un viale, e lì che distesa di melloni d'acqua! che apparato di melloni di pane! che cumuli di grossi peperoni, diavolilli, pomidori, marangiane, frutta d'ogni specie, ceste piene d'ogni ben di Dio!...

- Come mai tanta roba a quest'ora?

- Quel che non s'è venduto oggi si venderà domani, e la gente veglia qui tutta la notte a guardia della mercanzia....

- Ma que' cocomeri tagliati, a metà e ben disposti in linea su quei carretti, come son rossi!.... Possibile rossi a quel modo ? saranno finti, saranno di carta trasparente, messi lì per richiamo....

- Tutt'altro! son veri, son freschi, son cocomeri di Castellammare, mi capite? più grossi e più gustosi di così non ce n'è. Costano pochi centesimi e nell'estate la povera gente che vive di melloni, è solita dire: Cu nu rano magno, vevo e me lavo la faccia...

- Quante cose cu nu rano!...

[...]

Le botteghe tutte aperte sono il convegno di mille riunioni. Le farmacie sembrano piccoli salotti dove gli amici e i conoscenti si fermano, seggono presso la porta, barattano quattro parole e godono il fresco. Nel crocchio faceto non manca mai qualche reverendo grasso, ben pasciuto, tutto in grazia di Dio, e che mentre stabaccando scherza con la brigata, incute a tutti profondo rispetto. Tacciono le opere del giorno. Tutti si riposano conversando piacevolmente.

 

Serao. -

Matilde Serao negli stessi anni componeva Cuore infermo, pubblicato nel 1881, il suo primo romanzo che la fece conoscere prepotentemente e giustamente come scrittrice di razza.

E' la storia d'amore o di un mancato amore tra Marcello e Beatrice: Marcello, innamorato di Beatrice, ma non ricambiato, si rifugia nell'amore per Lalla e provoca, così, la gelosia e questa volta l'amore di Beatrice, per cui nasce una nuova, brevissima storia, interrotta dalla immatura morte di lei.

Gli ambienti della vicenda sono Napoli, luogo del loro matrimonio, Parigi, luogo del viaggio di nozze, la silenziosa Sorrento, dove va a villeggiare la malaticcia Beatrice, e la frenetica Castellammare, dove l'aristocrazia napoletana gode, d'estate, tra feste e divertimenti.

Proprio la differenza tra Sorrento e Castellammare è uno dei punti che più ci interessa. Nella 'malinconica' Sorrento si recano le amiche dell'isolata Beatrice per distoglierla dalla noia, se pure per una sera, partecipando ad una delle chiassose feste che a Castellammare si tengono in uno dei pochissimi locali della provincia, il 'baraccone' dello Stabia Hall. Le due asseriscono che a Castellammare per divertirsi lavorano "da mattina a sera [...], come i negri delle piantagioni. [...] Figurarsi con quel po po' di svaghi, con tanta aristocrazia straniera, con tutto il nostro circolo, se è il caso di essere malinconica". E Beatrice, pur timorosa di ammalarsi "per troppo divertimento", va poi alla festa, della quale vengono descritti personaggi e atmosfera.

A distanza di alcuni anni, ancora una memoria sullo Stabia Hall si trova ne La Ballerina del 1889, un'altra storia un po' lacrimevole con in più un qualche interesse psicologico, la storia di una sfortunata ballerina appunto, Carmela Minino, con tristi esperienze, quali l'abbandono da parte del solito seduttore senza scrupoli e in più la scrittura estiva presso il locale stabiese senza essere pagata. Questa volta, quindi, l'interesse della Serao ormai vicina ai naturalisti ed ai veristi, è per le classi più umili, per le vittime della società, in particolare per una povera ballerina dello Stabia Hall, sfruttata dall'impresario senza cuore, e non per gli aristocratici frequentatori:

Ella aveva fatto un gran sogno, quell'anno, di poter portare, sulla tomba della sua madrina e benefattrice, una corona di fiori freschi, una larga corona di bellissimi fiori, con una scritta tutta di fiori, dove si leggessero due o tre belle parole di memore affetto, di memore riconoscenza. Soldo a soldo, nell'estate, privandosi di moltissime cose, era giunta fino a raggranellare quarantadue lire, sognando sempre più vivida, sempre più fragrante la corona di fiori da portare al camposanto, ove dorme Amina Boschetti: anzi, Carmela Minino aveva accettato di andare a ballare a Castellammare, fra agosto e settembre, in quel baraccone dello 'Stabia Hall', a cielo scoperto, con quell'impresario Ciccillo Patalano che pagava poco e male, che, spesso, non pagava per niente: aveva accettato, Carmela, malgrado i suoi sospetti su Patalano, per non toccare il peculietto della corona, per accrescerlo, se fosse possibile, e aveva ballato nel teatro di legno, all'aria aperta, sudando in quelle sere afose di fine d'agosto in modo da sentirsi incollare la maglia di seta sulla persona e prendendo raffreddore su raffreddore, col fresco che veniva dalla platea, avvolgendosi invano in una mantellina di lana nera, quando rientrava nelle quinte. A che era servito?

Settembre era stato piovoso: Castellammare aveva visto partire presto i suoi villeggianti, lo 'Stabia Hall' era deserto e fra le vere bestemmie e le finte lacrime, Ciccillo Patalano non aveva pagato le due quindicine di Settembre alle ballerine scritturate.

 

Scarpetta. -

Tra i villeggianti in quegli anni a Castellammare c'era anche Scarpetta, che non mancò di prendere spunto per le sue storie teatrali anche dalle sue esperienze stabiesi. In un caso ce lo confessa egli stesso, in Dal San Carlino al Fiorentini, a proposito della commedia 'A nutriccia del 1882:

L'idea mi sorse in una breve villeggiatura fatta a Quisisana... Io non feci che raccogliere documenti umani. Nel villino dove ero riuscito a trovare un quartierino libero abitavano anche due giovani sposi... La signora poco dopo partorì e, in questa circostanza la casa fu presto invasa dai parenti. I genitori dello sposo e della sposa vennero lì a contendersi il diritto di spadroneggiare, e non vi descrivo le comiche scene che avvennero in quel tranquillo... quartierino.

'A nutriccia è una storia piena di trovate e battibecchi, dominata dalla bella e corteggiata nutrice Lisetta, moglie di Don Felice. L'azione, però, sulla scena si svolge a Napoli, mentre alcune altre commedie sono ambientate a Castellammare.

Nun la trovo a mmaretà è una deliziosa commedia, anch'essa del 1882. L'azione si svolge nel primo e secondo atto in un albergo del centro di Castellammare con 'Calata ai bagni', un albergo ben frequentato dalla borghesia del tempo, almeno secondo le pretese del proprietario.

Anche nella più tarda 'Na mugliera zetella del 1907 la scena del secondo atto si svolge nell'Hotel Quisisana, in una Castellammare ancora alla moda ed affollata di bagnanti e villeggianti.

Li Nepute de lu sinneco del 1885, invece, è ambientata in un luogo delle vicinanze di Castellammare, in un clima idillico che pur doveva costituire un'oasi di tranquillità per gli stessi frenetici villeggianti. L'azione si svolge tutta a Pozzano, presso un'osteria e locanda, l'Albergo dell'Allegria, con personaggi locali, quali l'oste, il sindaco con segretario e guardia - sindaco che attende l'arrivo di un nipote maschio che non conosce mentre rifiuta di ricevere la nipote femmina ospite nell'educandato di Castellammare -, inoltre la direttrice e il guardiano dell'educandato ed alcune educande.

 

Panzini. -

In questa Castellammare nel 1886, ma non nel fervido periodo della villeggiatura, venne ad insegnare Alfredo Panzini.

Non fu, la sua, una scelta convinta e piacevole, anzi un ripiego da tenere quasi nascosto, come dice nel racconto La cagna nera:

Anche a mia madre non scrissi nulla di preciso, solo dissi avere ottenuto un onorevole ufficio dal governo, e perchè vi prestasse maggior fede, le diedi il mio recapito a Napoli, da cui non molto lungi era la cittaduzza destinata per mia povera residenza.

Anche l'impatto con la "cittaduzza" non fu piacevole:

Quando arrivai era una domenica: domando ad uno, domando ad un altro dove erano le scuole e nessuno mi sapeva indicare. Finalmente un prete seppe dirmene qualcosa. Vado su, su per una viuzza stretta, sucida, con tutte le comarelle presso gli sporti e i ragazzi che si ruzzolavano da presso.

Qualche cosa come un'insegna e una scritta pendevano da una porta un po' più grande delle altre: supposi che quella fosse la scuola, né mi era sbagliato.

Il suo atteggiamento non sereno emerge in tutto questo lungo racconto pubblicato nel 1895, La cagna nera, nato dalla sua esperienza stabiese, che viene rivisitata intorno all'episodio di una cagna abbandonata da lui raccolta tra l'ilarità di tutta la città e poi fatta annegare con un atto tanto assurdo e penoso quanto liberatorio. Un racconto interessantissimo, che scopre uno scrittore per certi aspetti legato ai modelli letterari di allora, che in qualche modo cade nel gioco dei compiacimenti e delle velleità, ma che mostra tratti di raffinatezza e di modernità sorprendenti.

La città non è descritta con l'occhio del turista, ma di chi ha vissuto un'esperienza forse da rimuovere se non tutta, almeno in gran parte: "Ma qui dei primi tempi la memoria in gran parte è svanita, e solo intravvedo un'oppressione di cose e gente nuove e confuse".

Ne esce fuori un Panzini annoiato, estraneo e ostile nei confronti dell'ambiente e degli uomini, dai quali non si sentiva accolto.

Della città rimangono impressi certi interni, l'estraneità di certi ambienti e certi atteggiamenti dell'autore in cui sembrano confondersi il sogno e la realtà. Si veda questo insolito risveglio:

Al mattino, un largo raggio di sole oriente mi svegliò prima del tempo. Per l'affare della cagna mi ero dimenticato di chiudere la finestra. Era presto; e nessuna delle note voci mattutine, nessuna sonagliera di capra si udiva, e in quel silenzio, in quella lucentezza di sole mi sorpresero i ritratti dei santi e delle sante appesi alle pareti. Curiosa! non me n'ero mai accorto che fossero tanti e così brutti! Perchè brutti erano davvero, e senza idealità come tutti i santi napoletani: oleografie di paltonieri in cocolla e di megere affette da pinguedine gialla in soggolo. V'era poi sul comò un Bambino Gesù di cera, grosso come al naturale, sprofondato ne la bambagia, che nell'intenzione dell'autore doveva ridere di celeste beatitudine e invece piangeva come un marmocchio ringhioso. Pareva fatto di salcicciotti tanto era pingue anche lui! Tutti convergevano gli occhi verso di me obliquamente come a domandarsi l'un l'altro con ira e sospetto: "Che ci fa qui codesto intruso? Lo sapete voi che ci fa, San Francesco?" "Io non saccio!" pareva rispondesse una S. Teresa con la faccia tinta di bile per indicarne l'ascetismo. "Non vedete che il bambino santo ne piange?" fremeva un San Domenico con gli occhi spiritati da accendere da essi solo i roghi. "Vattene ai paesi tuoi! Vattene!" borbottava il santo protettore della città, che era un vescovo effigiato in gesso con una barba nera e tonda di brigante ben nutrito. E se non fosse stato gravato dal piviale e dalla mitria che lo insaccava sino alla nuca, si sarebbe mosso e mi avrebbe scacciato a colpi di pastorale.

Io cercavo di persuaderli umilmente che da un anno e mezzo era con loro, che mi dovevano riconoscere per un buon figliuolo, che dovremmo vivere in buon accordo; ma tutte queste ragioni non piegavano il loro sguardo stupido e feroce. "Tu per noi sei un intruso, vattene al paesi tuoi!" dicevano in coro.

Eppure qualche buon rapporto con gli stabiesi e la cultura stabiese il Panzini dovette averlo se a Castellammare uscì nel 1887, presso la Tipografia Elzeviriana del barone Girace, la sua prima pubblicazione, quel Saggio critico sulla poesia maccheronica, che era la sua tesi di laurea presentata al Carducci.

Qualche soddisfazione l'insegnamento dovette pur dargliela se egli protraeva la scuola "oltre l'usato".

E nella città dovette pur vivere delle esperienze un po' più normali e serene, fatte di belle passeggiate e di momenti di distensione, se è vero che col bidello andava girando su un asino a Quisisana e nei dintorni di Castellammare, "per passare mattana e vincere malinconia", a godere di una natura tuttavia per lui "troppo" colorata, come rievocherà in un articolo sul Corriere della sera del 1926:

Per passare mattana e vincere malinconia, il bidello, un caro giovane, proprio romano de Roma, mi faceva trovare - dopo scuola - un ciucciariello sellato per me e uno per lui; e così andavamo in quei troppo ai miei occhi smaglianti tramonti, lungo quel troppo azzurro mare Tirreno, a Vico o su a Quisisana e a Gragnano, dove rivedo ancora i festoni degli spaghetti e delle lasagne ad asciugare per le vie, ed il rubino del vino saporitissimo: io Don Chisciotte e il bidello Sancio.

 

Aganoor-Pompilj. -

Intanto la vita frenetica dei villeggianti di Castellammare continuava, ad essa partecipavano anche letterati e scrittori, soprattutto napoletani, quali Scarfoglio, Di Giacomo, Bracco, Turco, spesso sollecitati dal febbrile attivismo del principe di Moliterno. Anche delle donne partecipavano, la stessa Serao ed una sua amica, Olga Ossani, figlia dei proprietari di una piccola pensione, scrittrice che si firmava "Febea".

Frequentò Castellammare anche una poetessa di famiglia armena, Vittoria Aganoor, poetessa dell'amore, della primavera, della natura, di grandissima sensibilità e delicatezza, amata intensamente dal marito Bruno Pompilj, il quale si ucciderà sulla sua tomba subito dopo la sua morte.

"Il suo breve canzoniere d'amore - dice il Croce ne La Letteratura della nuova Italia - è certamente il più bello che sia stato mai composto da donna italiana".

Ospite nella bellissima villa Moliterno a Quisisana, ma meno partecipe dei continui divertimenti, amante com'era della solitudine, l'Aganoor volle descrivere in versi straordinari le sensazioni e i sentimenti suscitati dal posto meraviglioso.

Con i suoi versi su Villa Moliterno (Quisisana), versi di un cuore in "dolce estasi", di una "rapita anima" per la "bellezza eterna" di una Castellammare "velario magnifico del verde sulla gloria del mare", chiudiamo questa rassegna.

Una dimora che ai convegni eletta

certo avriano le Grazie, e, accanto, i lieti

trionfi delle palme, intorno avvinte

dalla glicine in fiore, e i cedri insigni

del Libano, e i metallici fulgori

delle magnolie.

                            Molli prati e vivide

famiglie di verbene in mezzo al fresco

idillio d'ombre, finché poi non s'apre

libero, a pie' della ridente china,

il velario magnifico del verde

sulla gloria del mare.

                            Ali di candide

paranze vanno per l'azzurro, e insieme

passano con veloce ala i ricordi,

passano le veloci ombre dei sogni.

Certo non mai la dolce estasi il core

mio scorderà, della bellezza eterna

finché s'accenda.

                            Minaccioso in fondo

fuma il vulcano, ma da presso io sento

fremere un lor segreto inno le rose

alla gioia fuggente, e l'aria intorno

susurrarmi: - "Non vedi? il giorno è breve;

augurio del domani avida accogli

per entro la rapita anima il vivo

balsamo di quest'ora".

                            Ecco si sfoglia

una rosa, e laggiù distende i veli

mesti il tramonto per le rive e i porti,

mentre immutata, del silente golfo

sovra il tremulo specchio, al cielo incontro

del Vesuvio l'estrema erta sfavilla.

 

 Post fata resurgo

 

(Dal Bollettino del Rotary Club di Castellammare di Stabia, Anno 1996-97, n. 4 : aprile-giugno 1997, pp. 7-16)

(Fine)

 

 Ex Studiis Iosephi Centonze

 

 

 

 

per Stab...Ianus

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